Le Foto sono inquietanti ;-) Auguri a tutti i Pellebianca...ops PelleVerde !
"Duecentottantanove", disse l'uomo sfiorando un'altra delle scatole sulla mensola. "Duecentonovanta. Sai, questo è un capolavoro", disse all'amico appena entrato.
"Tieniti anche questo per la pensione", gli rispose lui, sarcastico. "Ma dimmi, pensi davvero che sarà così lunga?"
"Non ti rispondo neanche. Ma perché non mi dai retta, qualche volta?"
"Senti, Ebenezer, l'ho fatto una volta e mi hai fatto provare quel coso, com'è che si chiamava? Agricoltura?"
"Agricola. Un capolav..."
"Non capisci niente."
"Appunto. Vabbé. Senti, per Natale che fai? Noi stasera e domani ci troviamo da me per giocare. Se per una sera puoi fare a meno dei tuoi diavolo di mattoni..."
"Per giocare a RisiKo! o a Saltinmente? Non se ne parla neppure, Bob; ma grazie dell'offerta: divertitevi, eh!" 'Ammesso che possiate chiamarlo divertimento', pensò Ebenezer , ma questo non lo aggiunse.
"Va be', io t'ho invitato - non che sperassi in una risposta diversa. Finirà che mi passerà la voglia di chiedertelo; lo sai, questo, vero? Ora vado. Buon Natale, Ebenezer."
"Stammi bene... Bah!"
Bob uscì, battendo leggermente la porta.
"Il Natale... bah", borbottò Ebenezer. "Bubbole!"
Per le ore successive, tuttavia, egli fu inquieto. Bob teneva a lui e, sebbene non lo avrebbe mai ammesso, gli spiaceva litigare con lui; ma non poteva farne a meno: 'La sua ottusità è sorprendente', si diceva - come a giustificarsi - mentre appoggiava il piatto sporco nel lavandino. 'Che senso ha continuare a insistere?' Viaggiavano su due binari differenti, era inutile illudersi. Si ritrovò a pensare a Jacob - lui sì che era un compagno di giochi di quelli giusti: pochi giorni prima che lui si trasferisse a Londra avevano passato quasi cinque ore chini su Through the Ages e Ebenezer si era sentito più vivo che mai - era stato mesi prima, del resto.
Poco prima della mezzanotte, con un sospiro, Ebenezer cerco di scacciare i brutti pensieri; bevve un sorso di vino dalla bottiglia e premette il pulsante di accensione del computer, ma non successe nulla. Stupito, lo premette una seconda volta, e ancora vide la sua immagine riflessa nello schermo. Imprecò. Fuori aveva ripreso a nevicare.
Ebenezer si chinò sotto alla scrivania per controllare se il cavo fosse inserito nella presa, poi si voltò; fu allora che lo vide. Era seduto sulla sua sedia, gli occhi buoni in un'espressione severa che poco gli si addiceva. "Ti senti solo, eh?""Ma che..."
"Credi di poter bastare a te stesso, vero? Tu e tutti quei giochi ancora chiusi, e il mondo fuori da quei muri."
"Tu... tu ..."
"Non se ne parla neppure! E lasciami: cosa diavolo stai fac... oddio, ma che hai fatto?"
"Riconosci questo luogo, Ebenezer?"
"È... È la mia camera. Era la mia camera: era così tanti anni fa. Ma come diavolo è poss..."
"Oggi è Natale, Ebenezer; seguimi in cucina."
"Perché dov..."
"Guarda."
"Ma siamo noi; e stiamo giocando a carte. Ma guarda: guarda com'ero felice". Una lacrima gli scese sulla guancia sinistra e raggiunse il lato della bocca; Ebenezer la rimosse con la lingua, il magone in gola. Si girò verso lo spirito, ma non vide nessuno; confuso, tornò a guardare la cucina, ma vide soltanto la pila di stoviglie sporche. "Ma cosa... Che significa tutto ciò? COSA?"
"Non lo capisci, giovanotto?" Tuonò un vocione alla sua destra. Ebenezer sussultò e si girò a osservare l'uomo a cui questa voce apparteneva. Questi era un uomo corpulento, la testa calva e una fitta barba nera spruzzata di grigio. Lo riconobbe all'istante - o almeno così pensava: non era più sicuro di nulla.
"...Possibile?"
"Hai barattato la felicità per qualche scatola in più, vero Ebenezer? Non vedi che il tuo atteggiamento sta allontanando tutti dalla tua vita?"
"Ma... io... sono giochi di società: come possono allontanare qualcuno?"
"Possono. Possono eccome. Lo sai chi sono, Ebenezer?
"Io sono lo spirito del Natale presente, Ebenezer. Vieni: voglio mostrarti una cosa." Lo spirito con la barba folta diventò un gigante, sollevò un incredulo Ebenezer e se lo mise in tasca, poi scoperchiò il tetto per uscire. Vagò per qualche minuto nella notte fredda, le alitate a disperdersi con i caldi fumi che uscivano dai camini; quando fu quasi sicuro di aver trovato la casa giusta, sollevò un tetto e sbirciò dentro una casa con le finestre illuminate. Dentro intravide un uomo con una folta barba castana intento a giocare di ruolo; lo spirito si accorse dell'errore nel momento in cui l'uomo, accortosi dell'intrusione, proruppe in un sorpreso e tonante "Ma che oh!". Imbarazzato, il gigante barbuto rimise il tetto al suo posto; poi afferrò delicatamente Ebenezer, lo estrasse dalla tasca e lo appoggiò a terra davanti alla finestra dell'abitazione a fianco. "Questa è quella giusta. Osserva, ora."
"Cosa dovrei ved... Ma è la casa di Bob!"
"Stanno... stanno giocando. Non capisco a cosa, però. Sembrerebbe... Oddio, giocano a Non t'arrabbiare."
"Così pare."
"E stanno ridendo."
"Già", borbottò il gigante.
"Ma non è nemmeno un gioco! Devi solo tirare il dado e muoverti, sai che gioia! E guarda... guarda... oh, ma guarda: spirito, chi è quel piccolo?"
"Non lo riconosci, Ebenezer? Quello è Tim, tuo nipote."
"Mio nipote... mio nipote! Non lo vedo da quanto? Da troppo tempo, maledizione." La lacrima di poco prima lasciò il posto a due piccoli torrenti, mentre la disperazione stava avendo la meglio sulla ferma risoluzione che aveva caratterizzato la vita recente di Ebenezer.
"Cinque anni, per la precisione", tuonò un'altra voce, ancora più bassa e potente. Ebenezer, ormai inerme, si girò senza che avesse il controllo delle sue azioni e vide un uomo con un lungo mantello nero, la testa coperta da un cappuccio. "Da quando tua sorella ha rotto i rapporti con te, dopo l'ennesimo invito andato a vuoto."
"Che ci fa Tim a casa di Bob?", chiese Ebenezer, singhiozzando.
"Non importa, ora."
"Tu... tu chi sei?", chiese lui con la voce rotta dal pianto.
"Non lo indovini?"
"Sei lo spirito del Natale futuro, vero?"
"Esatto, Ebenezer. Ora guardati intorno."
Si trovavano in una sala buia e piena di ragnatele; accostati alle pareti corrose dall'umidità diversi mobili vuoti da tempo, molte delle mensole rotte, ricordavano curiosamente una bocca sdentata. Seduto a uno dei vecchi tavoli ingrigiti stava un uomo solo: era sulla cinquantina, ma ne dimostrava almeno venti di più. Guardava il pavimento, e piangeva.
"Questa era una ludoteca, Ebenezer; è andata avanti diversi anni; poi - schiacciata da internet - ha dovuto chiudere. Eppure quell'uomo ogni Natale torna qua, sempre più malinconico: in un certo senso è tutto quello che gli è rimasto."
"Quell'uomo... è... sono io, vero?"
"Sì", rispose quella specie di monaco. "Quello sarai tu."
L'aria nella stanza era nauseante. Non c'era nemmeno un refolo, eppure Ebenezer vide a un tratto le ragnatele muoversi. Spaventato, afferrò un braccio dell'uomo incappuccato, che si ritrasse prontamentee. Un ciuffo sale e pepe risaltò per un istante dal cappuccio.
L'altro uomo col cappuccio osservava senza scomporsi; "Ti è chiaro ora, Ebenezer?", disse poi.
"Sì, ma fammi uscire. Fammi uscire!" Urlò lui, spingendo invano una delle pareti.
L'uomo si tolse con calma il cappuccio.
"FAMMI USCIRE!"
Il monaco inclinò velocemente la testa di lato; poi si rimise il cappuccio e si voltò.
"Fammi uscire, ti preg..." Ebenezer era sul pavimento della sua camera, sudato. Si alzò, incerto sulle gambe tremanti; prese coraggio osservando la luce del mattino che filtrava dalla finestra. Ripensava a quanto aveva visto - o sognato, forse? Smise di piangere; poi si asciugò la faccia con la manica della felpa e cercò di normalizzare il suo respiro. Qualche istante dopo, in un pensiero limpido come un cielo di ottobre, capì cosa doveva fare.
"Apro io", disse il piccolo Tim. Spalancò la porta, tremando per la ventata gelida che lo investì, e rimase perplesso quando vide un signore sconosciuto - lo sguardo malinconico, il borsone pieno.
"Chi è, Tim?", chiese una voce da dentro la casa.
"Un signore, Bob", rispose a voce squillante il bambino.
Ebenezer lo osservò, mentre gli occhi così simili ai suoi cadevano sul borsone. "Sei cresciuto, Tim."
Il bambino lo guardava, incuriosito: dei pensieri inconsci si stavano muovendo dentro la sua testa.
"Ebenezer! Non me l'aspettavo. Entra, dai", esclamò sorpreso Bob quando, pochi secondi dopo, comparve davanti all'ingresso.
"Bob, questo signore ha la borsa piena di giochi!"
"Lo immagino, Tim", rispose lui, con tono meno sarcastico di quanto avrebbe voluto, il velo del dubbio che però non riusciva a dissimulare del tutto la contentezza.
Nella casa si avvertiva un accogliente profumo di pandoro.
Ebenezer sorrise al bambino. "Lo conosci Nome in codice, piccolo?"