Dungeons & Dragons: Ghosts of Saltmarsh, recensione da Castel Farrow

Wizards of the Coast, WizKids, Greg Rutkowski

Siete usciti vivi dal Maniero di Ravenloft e dal Dungeon del Mago Folle? Volete vivere mirabolanti avventure tra galeoni, tesori sommersi e mostri acquatici? Attenti, il pericolo di naufragare in un mare di delusioni è più vicino che mai…

Voto recensore:
5,0

Dungeons & Dragons. Imprese ed eroi, spade e sortilegi, dongioni e dragoni. Dongioni, ovvero sotterranei labirintici ricolmi di trabocchetti, misteri, nemici spaventosi e ombre da dissipare con la luce della propria torcia, mentre si avanza verso l’agognato forziere. E dragoni, nemesi per eccellenza nelle leggende riguardanti guerrieri dell’antichità e in particolare cavalieri medievali; creature incarnanti potenza smisurata, fiamme che tutto possono travolgere, ali in grado di conquistare il cielo ma al medesimo tempo stirpe antica, intrisa di primordialità, rammentata da quelle scaglie, da quelle zanne, che tanto rimandano l’inconscio all’associazione con le creature che dominarono l’era mesozoica. 

Dungeons & Dragons. Il gioco di ruolo più famoso del mondo. I suoi dadi poliedrici, i livelli d’esperienza, le classi dei personaggi (che ne definiscono tra l’altro le capacità e l’approccio ai cimenti), gli incantesimi da memorizzare e gli allineamenti morali (due elementi ispirati dai libri dell’indimenticato Jack Vance). Elfi e nani, orchi e morti viventi, beholder e mind flayer. 

Dungeons & Dragons. Figlio quasi cinquantenne di Gary Gygax e Dave Arneson, oggi gemma nelle mani della Wizards of the Coast, la mamma di Magic, l’Adunanza. Nel suo mezzo secolo di storia o giù di lì, ne ha compiute di imprese il nostro Dungeons & Dragons: cinque edizioni del gioco di ruolo vero e proprio (il prode Sir Alric le ha apprezzate tutte, fatta eccezione per la quarta), cloni, evoluzioni e compagni di Path-merende-Finder, romanzi in gran quantità (il mio primo fu “I draghi del crepuscolo d'autunno”), fumetti, una moltitudine di tecnogiuochi (per me la perla resta Planescape: Torment, giunto tra noi proprio alla fine del millennio scorso), serie animate (oltre a quella della Marvel che vede come antagonisti l’arcidemone Venger e il drago pentacefalo Tiamat, Lady Farrow mi chiede di citare anche The Legend of Vox Machina e soprattutto Record of Lodoss War, pur se non ufficialmente legata al vessillo dei dongioni e dragoni) e tre trascurabilissime cinetrasposizioni, nessuna degna di stima, ma è in arrivo la quarta, L’Onore dei Ladri, che schiererà tra gli altri Chris Pine (the Bard), Michelle Rodriguez (the Barbarian) e Hugh Grant (the Rogue).

Tyrants of the Underdark: copertina

Dungeons & Dragons è altresì giuochi da tabula, ambientati in alcuni dei più celebri mondi del multiverso di ruolo. Alcuni tra questi meritano di essere acclamati: è il caso, per citarne un paio, di Lords of Waterdeep e Tyrants of the Underdark. Ma vi sono stati anche dei fallimenti, il più recente ed eclatante dei quali è Assault of the Giants: non credete a chi, da infido gnoll, ve lo propina paragonandolo a Caos nel Vecchio Mondo… perché ci rimarreste malissimo: basta un comunissimo Blood Rage per rimandarli sui loro monti quei giganti nient’affatto impressionanti. Nessuno di questi appena menzionati dal cupo Sir Alric è però un gioco da tabula dungeon crawler, genere che in parte nacque/si alimentò proprio su ispirazione dei paradigmi Dungeonici e Dragonistici. É una strada che però è stata tentata a più riprese, come nel caso di Dungeons & Dragons, un’Avventura Fantasy, che cercava in maniera a mio parere claudicante di percorrere il medesimo sentiero tracciato dal mitico Heroquest. Nell’Anno del Signore Supremo 2010 avviene però ciò che, non tanto nel regno italico, quanto più nel paese a stelle e strisce, verrà vissuto come un tassello di congiunzione significativo: la Wizards of the Coast dà nonmorte vita a Castle Ravenloft, padre nello spirito e ancor più nelle regole del titolo che è l’oggetto di codesto scritto recensorio. 

"Rudolph, mio caro vecchio amico, temo che tu sia stato privato dell'unica difesa efficace che hai mai posseduto nel mio dominio. 
La mia disattenzione.

Il saluto del conte Dracula Strahd von Zarovich al cacciatore di mostri Rudolph van Helsing van Richten

Ravenloft e le sue inquietanti nebbie, il semipiano del Terrore, ovvero la più celebre ambientazione fantasy-horror mai concepita per Dungeons & Dragons, e il maniero del famigerato conte Strahd von Zarovich, ancora oggi il vampiro per antonomasia agli occhi di coloro che da una vita mangiano pane e vorpal, divengono il teatro per un dungeon crawler da tavolo nient’affatto proibitivo da intavolare e accessibile a livello di regole, concepito esclusivamente per la modalità solitario-cooperativa (detto oggi fa sbadigliare per quanti giochi ci sono di questo tipo, ma ai tempi della sua uscita non si poteva dire esattamente lo stesso) che vede da uno a cinque giocatori controllare gli eroi, mentre le forze del male sono governate dalla malvagità artificiale. Sono presenti meccaniche ed elementi classici quali miniature (di qualità altalenante tra l’insufficiente e il discreto), movimento su griglia (le classiche caselle quadrate), poteri variabili, tiri di dado (a venti facce) e classe armatura come coefficiente numerico di difesa da eguagliare o superare per colpire i nemici: un regolamento dalla struttura lineare e leggera, concretizzato da un movimento e una singola manovra differente (per esempio un attacco, un sortilegio, il disinnesco di una trappola o un’interazione con l’ambiente) a disposizione di ogni avventuriero in ciascun turno. 

Castle Ravenloft si è ritagliato un posto nel cuore guanto d'arme di molti combattenti, soprattutto in terre straniere, diventando a tutti gli effetti il primo capitolo di una serie più viva che mai, nota da qualche anno con l’appellativo di D&D Adventure System Cooperative Game: giochi indipendenti l’uno dall’altro, a sé stanti e autoconclusivi, medesimo impianto di regole con pochi aggiustamenti o eccezioni specifiche, ma soprattutto di volta in volta nuove trasposizioni di celebri saghe recanti il vessillo dei dongioni e dragoni.

Di lì a poco arrivò Wrath of Ashardalon, col suo monte di PiccoTempesta, un’atmosfera fantasy più classica e un Drago Rosso grosso, avido e feroce come nelle migliori tradizioni del genere… per non parlare di serpenti giganti, orsi, nani oscuri duergar e persino portali dai quali emergono diavoli e aberrazioni. Il terzo fu The Legend of Drizzt, dedicato al celebre drow nato dalla penna di R. A. Salvatore con al suo seguito gli alleati e nemici più importanti: l’indomito Wulfgar, il letale assassino Artemis Entreri e parecchi altri, come pure una decina di mostri tipici del sottosuolo e di Menzoberranzan, ma anche un Balor (il Balrog di D&D) come pezzo di sostanza. 

Si è poi proseguito con Temple of Elemental Evil e Tomb of Annihilation per rimanere in tema “posticini ameni dove non trascorrere la villeggiatura”, ad accompagnare le omonime saghe nel frattempo pubblicate per la quinta edizione del gioco di ruolo: l’azione si sposta in luoghi mistici legati alle energie primigenie di aria, acqua, terra e fuoco, oppure in giungle insidiose ove un potente lich sta officiando la più tetra delle maledizioni. Il sesto gioco, Il Dungeon del Mago Folle, è l’unico attualmente disponibile in italico idioma grazie ad Asmodee, ed è ambientato a Sottomonte/Undermountain, uno dei sotterranei più immensi e iconici di ovunque e sempre. Ci sono poi taluni giuochi differenti ma che comunque includono qualche miniatura e carta statistiche-comportamento da utilizzare anche con questo D&D Adventure System, per esempio gli esponenti della serie Dungeon Command, di suo focalizzata sugli scontri di schermaglia.

Il D&D Adventure System Cooperative Game

Come detto, i sei scrigni pocanzi citati sono tutte scatole base indipendenti e autosufficienti; ciascuna contiene cinque eroi unici, un bel prontuario di mostri comuni e arcicattivi più gagliardi (circa quaranta miniature di cui almeno una sempre imponente), tessere mappa, tasselli e carte (quasi tutte prive di illustrazioni quest’ultime), un libro delle regole e uno delle avventure, oltre a un bel dado a venti facce. Non occorre affrontarli in ordine, questi giochi, e se ne può tranquillamente provare uno qualsiasi, anche gli ultimi, senza che l’esperienza venga minata. 

Si tratta di dungeon crawler molto dinamici, tra direzionamenti diagonali sempre permessi, statistiche di movimento generose e l’assenza di zone di controllo che limitino l’incedere nelle caselle poste attorno a un nemico (anche se alcuni eroi e mostri hanno capacità specifiche in grado di paralizzare o rallentare i propri avversari): il micidiale Sir Alric preferisce sistemi più articolati e che tengano conto in maniera più severa della posizione dei propri antagonisti, ma il punto è che tale dinamica va inserita in maniera accorta: molto meglio un sistema che la ometta, come giustappunto Il Dungeon del Mago Folle e soci, rispetto a quanto fatto per dire in Dungeon Saga, nell’ambito del quale prima ti muovi poi attacchi. Ti devi prima muovere. Devi attaccare per forza dopo. Una sequenza funzionale come tre chili di tiramisù prima di andare a dormire che, sommata alla regola dei blocchi reciproci, dona a Dungeon Saga per modernità e freschezza un effetto “prima guerra mondiale alla guida di cingolati”. Bisognerebbe prendere lezioni dal più profondo Perdition Mouth su come rendere interessante l’uso della materia grigia al fine di coordinare al meglio l’incedere degli eroi. 

Infine va detto che il sistema di spostamento e raggio d’azione di The Legend of Drizzt e dei suoi fratelli è uno dei più funzionali per quanto riguarda i dungeon crawler di peso tra il medio e il leggero. Peculiare difatti è la doppia misurazione delle distanze, “in caselle” per quanto riguarda alcune situazioni, come il posizionamento degli avventurieri, e “in aree” quando per dire occorre attivare i nemici o calcolare le gittate di attacchi a distanza o incantesimi: un apparato a suo tempo accusato di essere poco elegante, ma che rende più rapide e scorrevoli praticamente tutte le fasi descritte senza impoverire le più significative; verrà in parte implementato da Chronicles of Drunagor diversi anni dopo.

Gli esponenti di codesto D&D Adventure System Cooperative Game non sono afflitti dal problema noto come eliminazione del giocatore: ogni compagnia di avventurieri (da uno a cinque) dispone collettivamente di due tasselli Recupero in tutto all’inizio di una missione: ogni volta che un membro del gruppo viene sconfitto, la compagnia ne scarta uno e quell’impavido torna a poter agire, recuperando una parte del proprio vigore: il fallimento della missione avviene solo in caso cada uno dei coraggiosi predatori di dungeon senza che rimangano tasselli Recupero da utilizzare per farlo tornare in azione, anche se malconcio.

Gli obiettivi di missione sono abbastanza vari: si va dal recupero di tesori perduti, mistiche reliquie o altri oggetti particolari, al dover salvare qualcuno, scoprire qualcosa, sconfiggere nemici specifici, fermare rituali, fuggire verso la salvezza, difendere un’area o un accesso specifico… e potrei continuare a lungo. É un punto da sottolineare anche per confrontarsi con altri dungeon crawler di paragonabile complessità;  il poco fa menzionato Dungeon Saga, ad esempio, presenta come obiettivo fisso del giuocatore cattivo-master-signore supremo, il poter vincere automaticamente abbattendo un singolo eroe, il che porta inevitabilmente alla dinamica ripetitiva: cattivo individua elemento debole – cattivo massacra per tutta la partita elemento debole – elemento debole vive nel panico costante – gli altri fanno salti mortali per difendere elemento debole. Complimentoni agli autori, una scelta di design veramente geniale, Assalto Imperiale funziona perché ha fatto esattamente il contrario.

A essere ripetitiva e prevedibile negli Adventure System Cooperative Game è invece la logica dietro il sistema che permette di raggiungerli fisicamente tali obiettivi. Sicuramente semplice da gestire ma in parte discutibile nella resa è infatti l’esplorazione: prima di cominciare l’impresa, si crea proprio seguendo le regole a essa relative una pila di tessere mappa capovolte: sono piccole, a parte rare eccezioni misurano tutte quattro caselle per quattro ma ovviamente presentano muri e corridoi disposti diversamente oltre a zone speciali in alcuni casi, come le Cripte, il Laboratorio, la Cappella o la Fontana Oscura. Man mano che si avanza, tra combattimenti e trabocchetti, si esplora e si pescano nuove tessere mappa fino a che non si raggiunge quella che contiene l’obiettivo dello scenario (alcune missioni comprendono anche tappe intermedie) che il Libro delle Avventure ci aveva fatto porre in posizione che possiamo conoscere solo approssimativamente (per esempio tra la nona e la dodicesima area esplorata). Questo approccio implica che non è mai significativo decidere la direzione, se prendere il corridoio di destra o quello di sinistra: arriveremo comunque dove là storia ci vuole vedere, perché l’importante non è dove si va ma quanto a lungo si esplora. 

Altri giochi, come Warhammer Quest Silver Tower, prevedono una concezione dell'esplorazione similare ma che tiene concretamente in considerazione i bivi, con il mazzo di carte relativo alle aree da esplorare che viene diviso casualmente in due mazzetti differenti: in tal modo cambia tutto dirigersi in una direzione o nell’altra ma a decidere il nostro destino sarà comunque il caso (non vi saranno indizi da valutare per capire dove sia più proficuo andare) e inoltre gli esiti saranno più smaccatamente differenti, con un percorso che potrà essere breve (se si è andati dal lato giusto) o lunghissimo (se bisognerà tornare a ritroso nella direzione inizialmente ignorata) senza merito o controllo da parte dei giocatori. Sta a voi decidere che tipo di esplorazioni preferite, compagni d’arme, ma c’è almeno da dire che in questi casi, come anche in Altar Quest, vi è una coerenza e un tema di fondo in ogni missione. Il dramma vero è quando quest’ultimo fattore viene a mancare o è condizionato da un’entropia galoppante, e in tal senso mi sento di stigmatizzare gli insufficienti, da questo punto di vista, Bardsung e Dungeons of Infinity

Tornando a Castle Ravenloft e discendenti, ciascun eroe ha una sua comoda scheda quadrata che ne definisce nome, razza, classe di personaggio (come per esempio guerriero, chierico o mago), punteggi di Ferite incassabili prima di cadere, capacità di Recupero grazie ai tasselli omonimi, Classe Armatura, Velocità di movimento, la propria abilità unica e un testo di flavour che in poche parole (dovrei prendere esempio) spiega chi sia costui e perché abbia tutta questa voglia di andare a cacciarsi in quel dungeonesco pasticcio. Inoltre ognuno di loro dispone del proprio personalissimo mazzetto poteri (circa una decina di carte di solito) tra le quali scegliere i quattro-cinque con i quali inizierà l’impresa. Ve ne sono di tre tipologie: a volontà, ovvero gli attacchi comuni sempre disponibili (una carica impetuosa, un fendente, una freccia, un incantesimo semplice, un’arma specifica o una manovra peculiare), di utilità (ovvero capacità che a volte non costituiscono offensive dirette ma difese o effetti particolari) e giornalieri (trattasi quasi sempre degli attacchi più micidiali a disposizione).

L’aspetto tattico più soddisfacente nell’ambito del gioco effettivo è proprio la gestione di tali poteri/manovre: bisogna saper scegliere il momento giusto per sfoderare le proprie carte migliori ma a premiare è anche la coordinazione tra i protagonisti, visto che i poteri a volontà spesso funzionano al meglio se combinati: un guerriero può colpire un nemico, ferendolo ma scagliandolo inoltre in un’area dove se ne trovano già altri due, fornendo al mago tre bersagli perfetti per un incantesimo palla di fuoco; oppure lo stesso guerriero potrà provocare un avversario, attirandolo su di se per lasciare libero il chierico di soccorrere un compagno ferito, e il ladro avrà modo di intervenire furtivamente con un attacco alle spalle del nemico impegnato frontalmente dal forzuto della compagnia: è quanto accade dovrebbe accadere in ogni gioco di questo tipo, ma raramente troviamo scelte di coordinamento così significative in dungeon crawler potenzialmente accessibili a non esperti.

I nemici degli avventurieri godono quasi sempre dell’iniziativa (in quanto padroni di casa hanno tutto il tempo di tendere i loro simpatici agguati) e la loro attivazione è governata da diabolica intelligenza artificiale gestita da una semplice carta per ciascuna tipologia di creatura: sono dei diagrammi di flusso, come quelli utilizzati negli anni successivi da Middara e Sword & Sorcery, ma nel caso del D&D Adventure System Cooperative Game la gestione è rapida e fluida, in quanto ogni avversario normalmente presenta dalle due alle cinque casistiche di comportamento che i giocatori possono gestire in un batter d’occhio, potendo comunque sempre analizzarle lestamente e tenerne conto per decidere il da farsi. Vi sono nemici comuni e arci-malvagi, che sono ossi decisamente più duri poiché si attivano molto più frequentemente, ovvero ogni volta che un eroe termina la propria attivazione e prima che possa agire un suo compagno: in Castle Ravenloft quelli più spesso incontrati spaziano da ratti e ragni giganti a spettri, passando per scheletri, zombi, gargoyle, lupi neri; per quanto riguarda i farabutti peggiori, oltre al conte vampiro e al suo colossale Dracolich, abbiamo il mostro di Frankestein golem di carne Adam, il lupo mannaro, la strega ululante e altri figuri di codesta cordiale foggia.

Da gioco a gioco cambiano le tipologie di antagonisti, ma la quantità rimane sempre analoga a quanto appena descritto.

Abbattere avversari permetterà di ottenere punti esperienza* e di pescare carte tesoro, contenenti sia vantaggi non materiali temporanei (come la possibilità di rifiatare o di recuperare un potere di utilità o giornaliero già sfruttato), sia equipaggiamenti consumabili come le pozioni, ma anche armamenti e protezioni che forniranno bonus semipermanenti. A mettere pressione e a regolare il fattore Tempo nell’ambito della missione sarà il mazzo Incontri, sorgente diabolica di eventi nove volte su dieci alquanto nefandi (dalle trappole alle maledizioni… c’è di tutto) che contribuiscono a trasmettere il flavour dell’ambientazione e allo stesso tempo erodono gradualmente le speranze degli eroi troppo lenti ed esitanti nel raggiungere il proprio obiettivo di scenario. Alcune missioni poi hanno regole aggiuntive relative allo scorrere del tempo: il vampiro che dorme di giorno ma si risveglierà al tramonto, la marea che sale, il sortilegio di evocazione che viene completato…

Poco fa il titanico Sir Alric ha parlato di *punti esperienza: ebbene, essi potranno essere utilizzati a caro prezzo per annullare alcune Carte Incontro eccessivamente crudeli o in modo da far progredire il proprio personaggio dal primo al secondo livello d’esperienza (non ne esiste di norma un terzo o superiori), ruotando sull’altra faccia la scheda-avventuriero per ottenere incrementi alle proprie statistiche e un potere aggiuntivo (di solito giornaliero, che può essere decisivo al culmine della partita). 

I primi giochi della serie erano concepiti in buona sostanza per affrontare singole missioni. Vi era una trama di fondo che le legava tematicamente tutte, ma la progressione d’esperienza e il miglioramento per quanto concerne l’equipaggiamento avevano luogo fondamentalmente all’interno dell’impresa; il bilanciamento richiedeva che poi, ad ogni scenario successivo, si ripartisse al primo livello e con poco o nulla di quanto conquistato precedentemente. Questo è vero soprattutto in Castle Ravenloft, che funzionava meglio nella dimensione della sessione unica. Wrath of Ashardalon implementò un sistema di valore in monete d’oro degli oggetti rinvenuti per un accenno di gestione-compravendita di essi tra i vari scenari e soprattutto le regole focalizzate sulle stanze speciali, per rendere più epico il finale di ogni avventura. The Legend of Drizzt, contraddistinto da una facilità disarmante (visto anche lo strapotere degli eroi contenuti) e da un mazzo degli eventi-incontri di qualità infima, di gran lunga il peggior mazzo della serie, è divenuto però lo scrigno più celebre tra questi grazie al sapiente utilizzo di trame e personaggi legati al famosissimo esule elfo scuro nativo di Menzoberranzan. 

Fin qui a occuparsi di tali epopee da tabula era stata soltanto la Wizards of the Coast. Nella fase successiva vi è un passaggio di testimone che mette i seguiti nelle mani della WizKids e l’accento viene posto sull’importanza della concatenazione tra le imprese. Gli ultimi giochi, a partire dal Mago Folle ma vale anche per Tomb of Annihilation, restituiscono un’esperienza più completa se vissuti in forma di campagna perché in effetti c’è tutto un sistema di carte che vengono inserite nel mazzo degli incontri a seconda dell’andamento delle missioni precedenti, idea introdotta in Temple of Elemental Evil, poi proposta in maniera decisamente più sontuosa due anni dopo da Gloomhaven.

Da qui in avanti il bilanciamento, quando funziona, prevede che si arrivi ad affrontare con alcuni mazzi modificati, e qualche ammennicolo speciale conquistato in precedenza, i marrani più facinorosi che s'incontrano nelle fasi successive. 

Il casato del D&D Adventure System Cooperative Game costituisce una schiera di dungeon crawler agili e non eccessivamente ambiziosi, antesignani di alcuni concetti interessanti ma non privi di ingenuità, limitazioni e difetti; il leggendario Sir Alric però li ha sempre preferiti ai vari pari-peso o giù di lì Massive Darkness, Black Plague, Mice and Mystics, Arcadia Quest, Dungeon Saga, Dungeons of Infinity, l’Assalto dei Brutti Musi (Super Fantasy) e Dungeon Venture quando si è trattato di far entrare in un sotterraneo compagni d’arme non esperti ma adulti e avvezzi ai fondamenti dell’albionico linguaggio, per imprese rapidissime a intavolarsi e scorrevoli nello svolgimento: la durata media di una partita è una clessidra un’ora, col numero dei giocatori che la altera di poco, visto che non cambia il numero di aree da esplorare per raggiungere l’obiettivo finale. In generale all’aumentare degli eroi presenti su campo, diminuisce la difficoltà complessiva (in particolare nei primi giochi della serie): il suggerimento dell’impavido Sir Alric è di affrontare questi dongioni e i dragoni in tre o quattro avventurieri.  

Ghosts of Saltmarsh

Adagiato sulla costa del Mare Azzurro si trova Saltmarsh, un pacifico villaggio di pescatori che il Re di Keoland intende trasformare in un importante porto per aumentare il prestigio del suo regno. Ma non tutti accolgono di buon grado tale proposito. Le onde tumultuose di antiche rivalità s’infrangono sulla quiete della regione, mentre un nemico ancora più insidioso getta la rete della propria oscura concupiscenza, pronto a colpire proprio dove farà più male.    

Ghosts of Saltmarsh è il settimo figlio della serie D&D Adventure System Cooperative Game e anche per esso vale quanto abbiamo appena esposto per quanto riguarda le meccaniche, le dinamiche e le estetiche dei suoi sei predecessori. Con un importante differenza: laddove Tomb of Annihilation e i suoi sodali erano tutti dei core set, scatole base fatte e finite, Ghosts of Saltmarsh è un’espansione che deve essere utilizzata insieme ad almeno uno di essi. Orbene è d’uopo precisare qual è la realtà dei fatti: di norma un’espansione aggiunge qualcosa a un gioco base (lo ammetto, questa frase non vincerà il premio come la più brillante del mese). Quindi sovente ci si aspetta un gioco base e nel caso diverse espansioni. Qui invece abbiamo tanti giochi base e una sola espansione. E a ben guardare quest’ultima non aggiunge qualcosa di sostanziale alle campagne o alle missioni degli altri giochi: al contrario è fondamentale possederne almeno uno di quelli per giocare la campagna di Ghosts of Saltmarsh, perché la scatola di quest’ultimo è priva di eroi. Quindi è vero che non può essere definito certamente un gioco base indipendente, ma da tutto ciò si evince che costituisca espansione più per esigenza di categorizzazione tecnica e sua dipendenza a livello di materiali, che per essenza concettuale. 

Ghosts of Saltmarsh Boardgame era sufficientemente attesa, poiché trasposizione di un libro di avventure per la Quinta Edizione di Dungeons & Dragons gioco di ruolo, di natura antologica ma strutturato anche per costituire una vicenda continuativa (sulla falsariga del celebre Tales from the Yawning Portal) che in vari regni ha avuto il suo bel successo. A spiazzare però furono le anteprime di quest’espansione da tabula, che mostravano una dotazione di componenti ben più misera nella quantità rispetto a quanto visto precedentemente.

Degli eroi assenti abbiam già detto (i giocatori li sceglieranno liberamente dalle altre scatole possedute), ma non è che pure gli antagonisti siano presenti in chissà quale moltitudine: dai trentacinque e più nemici di The Temple of Elemental Evil e affini, qui si è affondati nel relitto di appena otto mostri, tutti di razza sahuagin (trattasi di umanoidi anfibi malvagi, fanaticamente religiosi e gerarchicamente organizzati) di sole cinque tipologie: tre predoni, due campioni, un maestro di lama, una sacerdotessa e un barone (il condottiero della comunità). 

Oltre a ciò, la scatola include il libro delle regole e il libro delle avventure (sedici paginette tra tutti e due, copertine incluse), una trentina di tessere mappa (rappresentanti il villaggio di Saltmarsh, l’antro dei sahuagin e alcune caverne semisommerse o allagate), più di centocinquanta tasselli/segnalini e quasi altrettante carte. La componentistica è di livello più che sufficiente. Le tessere mappa sono gradevoli e robuste. Solidi i tasselli. Le carte, pressocché perpetuamente prive di illustrazioni o simbologie evocative, sono schematiche ma almeno pulite in come presentano il testo. Le miniature sono di qualità discreta per concezione ma non sufficienti per quanto riguarda i dettagli che risaltano e la realizzazione generale, in particolare per il tipo di plastica effetto simil-morbido della quale sono costituite le due più importanti. Esiste una versione dell’espansione deluxe che le contiene già predipinte. 

Il libro delle avventure contiene nove missioni progettate per essere affrontate in forma di campagna. Qualcuno si chiederà come sia possibile strutturare un’intera saga dungeonica e draconica con quegli otto uomini pesce come unici avversari. Ebbene, la vicenda in realtà è una bieca operazione risparmio chiama in causa alcuni specifici mostri contenuti negli altri giochi della serie. In una determinata missione incontrerai un orco armato di arco e frecce: se possiedi Wrath of Ashardalon, potrai usarne l’omonima miniatura; in caso contrario la posizione dell’orco sulla mappa di gioco sarà indicata da un tassello circolare (simile a quelli che nei giochi precedenti venivano utilizzati per gli alleati o a quelli che in Descent Seconda Edizione indicavano i luogotenenti in assenza di miniatura deluxe). Ecco quindi che la cara WizKids sussurra ai collezionisti affetti da completismo compulsivo: “Ma come, mio cliente-figliuolo, hai quattro giochi della serie ma ti mancano per esempio la Tomba dell’Annientamento (che attualmente costa quanto un castello) e (giustappunto) il Castello di Ravenloft? Ma che peccato… se li avessi tutti potresti rappresentare ogni nemico della campagna di Saltmarsh con una bella miniaturozza…”

Ora, il prode Sir Alric la campagna l’ha giocata tutta (trionfando nell’ultima missione nemmeno una settimana prima della notte in cui sto buttando giù codesto parere recensorio) e afferma a gran voce che ogni scatola precedente vede effettivamente qualche suo mostruoso esponente in azione a Saltmarsh e dintorni, ma si tratta di pochissimi pezzi per ciascuna di esse.

Non possedete tutti i giochi precedenti? Sul tavolo allora avrete una bizzarra commistione di miniature-eroi, alcuni mostri pure loro in forma di miniatura e altri alla foggia di tassello. Magari a molti non interessa, ma alcuni compagni d’arme mi hanno scritto perché volevano capire ben bene questa questione di come interagissero i vecchi nemici con le nuove avventure. Sembra spiacevole, ma può andar peggio: possiedi tutti i giochi precedenti (che erano famosi per l’intavolamento veloce e l’intelligente gestione dei componenti)? Bene, a metà impresa ecco saltar fuori un bel thug. Bene, vai a prendere la scatola del gioco che la contiene e vai a cercare la miniatura. Vuoi portare Ghosts of Saltmarsh nel maniero di un tuo alleato, o alla ludoteca della gilda cittadina? Bene, e cosa fai, porti tutte le scatole? E quanti tavoli ti serviranno per cercare il Troll dentro The Legend of Drizzt e uno sciame di ratti troppo cresciuti all’interno di Ravenloft? Come avrete già intuito, l’unica via razionale è riunire prima dell’inizio della campagna tutte le miniature dei mostri necessarie dalle altre scatole (bruciandovi l’effetto sorpresa della loro presenza), tenendole nello scrigno di Saltmarsh nel periodo in cui deciderete di giocarne le imprese. Ah, attenti. Avete scelto un eroe, ne avete preso carte potere, miniatura e scheda? Siete usciti dalla vostra dimora convinti di avere tutto? Ve lo ricordate, vero, che ognuno dei giochi precedenti ha uno o più eroi che richiedono anche tasselli effetto specifici, oggetti speciali automaticamente equipaggiati e altri dettagliucci di questo tipo? Li avete presi, vero, prima di andare nella città vicina a giocare col vostro migliore amico? 
Sembra un pandemonio, tuttavia è semplicemente un’idea che poteva essere interessante, ma sfruttata molto molto male. Non è nulla di grave, credetemi, rispetto a quanto diremo tra poco.

Ne parlavo avantieri con un mio compagno d’arme alquanto preparato, originario del regno a stelle e strisce. Lo sapevamo tutti da tempo che la scelta di dare a Ghosts of Saltmarsh tale struttura, di “espansione” parva nei contenuti, era stata presa in casa WizKids per affrontare in maniera meno suicida più pragmatica questo periodo in cui i costi di produzione sono aumentati parecchio e che tante critiche avevano provocato già ai tempi del Dungeon del Mago Folle (un salasso a confronto dei primi esemplari della serie, a parità o quasi di componentistica) incentivando allo stesso tempo i fedelissimi a completare interamente la collezione. Gli appassionati del D&D Adventure System Cooperative Game, uno zoccolo duro ma duro sul serio in certune terre lontane, lo avevano accettato. Si voleva supportare tale longeva serie, tenendola viva per un po’ anche nel suo secondo decennio. Serbarla come la propria corazza indossata in giovinezza: non la più solida o la più comoda, ma quella cui si era rimasti affezionati. L’importante era ricevere qualcosa di divertente, funzionale e rispettoso di quanto visto in passato. Purtroppo a Saltmarsh tenersi troppo stoicamente addosso la corazza dei ricordi è rischioso, perché è un attimo finire a picco. Quante crepe questa corazza, quanta ruggine…

Alla fine di uno dei due manuali campeggia un avvertimento, che parafraso solo nella forma: “Occhio cari miei, che Ghosts of Saltmarsh utilizza elementi presi da sei giochi contemporaneamente: capirete bene che potrebbe saltar fuori qualcosa di poco regolamentato. In quel caso scusate-scusate, forza-forza, sappiamo che saprete scegliere per il meglio”. Potrebbe. Qualcosa. Altro che sahuagin, contrabbandieri e spiriti elementali che emergono dai flutti… quando affronterete Ghosts of Saltmarsh, capirete che i vostri veri nemici nell’ambito di codesta espansione sono stati gli autori.

Passino i problemi che sorgeranno con gli eroi. Li sceglierete potenzialmente tra i trenta dei giochi precedenti: ci può stare che qualcuno tra essi abbia una capacità in grado di rompere uno o più scenari, o un potere difficilmente decifrabile nei contesti pieni di eccezioni della campagna di Saltmarsh. Passi la questione delle trappole. Col proseguire della serie, i più recenti esponenti dell’Adventure System Cooperative Game hanno di fatto razionalizzato le regole dedicate ai trabocchetti, mentre Saltmarsh i recenti aggiornamenti li prevede ma non li spiega mica tutti (sto scuotendo la testa e l'elmo per mestizia e disapprovazione). Quindi se disponete soltanto di uno dei primi giochi, su tante cose dovrete andare a intuito o cercare verità perdute nel mare della rete.

Quello che non può passare, davvero no, è la maniera indecorosa in cui è stata realizzata la campagna. Abbiamo detto che le missioni sono nove: quelle “centrali”, comprese tra la quarta e l’ottava, sono ambientate in complessi sotterranei: caverne semisommerse e la tana dei perfidi sahuagin. Trattasi di avventure prive di guizzi o spunti interessanti, troppo convenzionali e monotone per essere le ultime concepite nell’ambito di questa lunga serie, tanto da far ripensare con malinconia ad alcune intelligenti regole speciali che resero memorabili parecchie imprese dei giochi precedenti. Persino Castle Ravenloft, che ormai si porta sul torrione quasi una dozzina d’anni, sorprendeva come trovate in grado di rendere uniche quasi tutte le proprie avventure. Affronti il Dracolich? Usando solo i muscoli la cosa sarà un pizzico impari, ma trovando il filatterio che serba la sua necroessenza, potrai indebolirlo in maniera decisiva. Ti ritrovi contro Frankestein il golem Adam? Potresti ricorrere alla violenza (tanti cari auguri, lo farà pure lui) o ritrovare oggetti che risveglino ricordi legati al passato degli esseri viventi che lo compongono (in particolare quello che gli ha donato la mente). Ti batti con la strega? Ecco che un malefizio divide gli eroi, teletrasportandoli in quattro punti lontani della sua torre. Devi sistemare definitivamente qualche vampiro o lupo mannaro? Armi d’argento, paletti di frassino, soglie di alba e tramonto, acqua santa, luce solare e tanto altro saranno fattori che doneranno quel dettaglio in più all’impresa. E contro i sahuagin? Nulla. Sono missioni sotterranee prive di mordente, lineari all’inverosimile, le meno emozionanti viste finora. 

La situazione precipita se analizziamo le prime tre missioni e l’ultima. Gli autori lì hanno ben pensato di portare una ventata d’originalità, ambientandole all’aperto, nel villaggio di Saltmarsh (una cosa simile era stata tentata già nel Tempio del Male Elementale, ed era andata non bene ma decisamente meglio che qui). La scala di distanze e spostamenti diviene del tutto sballata, con gli eroi e i nemici che continuano a muoversi col medesimo fattore di velocità in caselle percorse che utilizzerebbero in un dungeon, ma qui ogni tessera mappa rappresenta parecchi edifici: le miniature schizzano da una parte all’altra di Saltmarsh con un singolo movimento, senza dare mai l’idea di un villaggio di dimensioni realistiche. E la logica per la quale gli edifici sono incorporei? E i ripari per gli attacchi a distanza? Nulla? La linea di vista? 

Nella prima missione arriverete a Saltmarsh proprio quando è in corso un attacco di mostri nei confronti della popolazione, e dovrete difendere gli abitanti che fuggono. Non è completamente chiaro come farlo, ma ancora ancora esperienza e intuito aiutano a decidere (tra voi giocatori) come gestire alcune cose. Sul Tubo vi sono tre partite dimostrative e ciascun Master-Tubbber interpreta le regole a modo suo: uno alla fine commenta che la missione è stata una passeggiata, un altro la ritiene difficilissima. Non mi sento di dar loro torto, perché in questa pozzanghera di vergogna il torto intendo attribuirlo a senso unico. Nella seconda avventura dovrete fungere da scorta per un personaggio che rischia di essere assassinato, ma in realtà la vera vittima siete voi e il glaciale esecutore è il tizio che doveva testare almeno revisionare quantomeno rileggere questo indecoroso scenario. Nella terza impresa dovreste proteggere un vascello nanico dall’ingiuria dei nemici: inoltre dovreste e vorreste giocare, divertirvi, ma le non-regole cercheranno in ogni modo di impedirvelo. 

Avete presente quando il vostro vicino di maniero, dopo aver scoperto il mondo dei giochi da tabula moderni e averne provati nemmeno una decina, pensa di aver capito tutto e decide di inventarne uno di sana pianta? Ed eccolo che butta giù tutto giulivo e saccente il manuale delle regole del gioco il-più-migliore-di-sempre, dando per scontato e omettendo un sacco di cose che tanto lui sa, che nessuno deve dirgli mentre testa il gioco. Leggendo la seconda e la terza missione di Ghosts of Saltmarsh, andrete a cercare il suo nome tra quelli degli autori, tanto l’approccio vi sembrerà simile. É per quello che nei progetti anche solo vagamente professionali il gioco deve essere fatto provare senza la guida di chi le regole le ha chiare in testa, perché con la sua presenza attiva farebbe fluire lo svolgimento indipendentemente dalle mancanze del testo. Sono banalità, lo so, parlando di game design, ma alla WizKids stavolta qualcuna di codeste banalità è scivolata dal galeone.

Tuttavia quando si raggiunge il fondale marino incatenati all’ancora della propria delusione, ecco che il suolo subacqueo (si potrà dire?) si sbriciola a tradimento, per farvi affondare ancora e ancora… 
La meccanica realizzata in maniera più pratica e funzionale tra tutti gli Adventure System Cooperative Game è quella dell’intelligenza artificiale dei nemici. Bene, anzi no, non bene, le missioni ambientate nel villaggio la sostituiscono con un simpatico insieme di eccezioni, rivoluzionandola in maniera sospesa tra il peggiorativo e il nebuloso. 

Si è usato, come alibi dal punto di vista tecnico, il succulento e ambizioso progetto che porta a utilizzare tanti giochi contemporaneamente, ma questa è solo apparenza: codesta espansione contiene fondamentalmente una nuova campagna e quest’ultima è di gran lunga la peggiore tra tutte quelle della serie soprattutto per ciò che propone di originale e slegato da vincoli. Vi è stata accidia nel concepire i sotterranei, pressapochismo nelle innovazioni proposte e inqualificabile inadeguatezza in test e revisioni. Sarebbe bastato poco impegno in più per realizzare un’espansione comunque non sufficiente, ma quantomeno corretta nei confronti di appassionati e clienti-figliuoli. Un gruppo di giocatori mediamente preparati e flessibili non avrà problemi a decidere come interpretare al meglio alcune regole e situazioni. Alla mia tabula ho fatto così e i miei compagni d’arme si sono divertiti. Ho cercato di far godere a tutti l’esperienza, guidandoli in battaglia con entusiasmo e trasporto, senza rovinare le partite con critiche sulle regole o pause prolungate: abbiamo portato a casa una campagna piacevole mettendoci del nostro e tramutando il piombo in oro con improvvisazione e buon senso. Ma un’analisi critica deve tener conto di come uno scrigno di giuoco sia stato effettivamente realizzato, considerando inoltre che trattasi di un qualcosa non certo destinato a grandi esperti. 

A pochi mesi dall’uscita di Ghosts of Saltmarsh, un gruppo di appassionati ha diffuso nel mare della rete un compendio di regole che appurano, dirimono ed emendano parte di ciò che è stato oggetto della mia critica. Hanno fatto loro ciò che sarebbe stato uffizio di altri. Ovviamente la campagna resta poco coinvolgente, ma se ormai vi siete impossessati di quest’espansione e siete pronti a utilizzare il manuale delle avventure aggiornato e i chiarimenti attualmente reperibili con le correzioni di quanto era possibile correggere, alzate pure di quasi un punto intero la valutazione numerica del presente scritto recensorio (so che sembra molto, ma così l’espansione diviene effettivamente almeno fruibile).

Se ancora non possedete Ghosts of Saltmarsh, il temibile Sir Alric vi suggerisce di non cambiare questo vincente stato di cose. Avete uno dei sei giochi base e pensate di arricchirlo con quest’espansione? A quel punto meglio prendere uno tra gli altri cinque core-set: avrete comunque una nuova campagna e indipendentemente da quale sceglierete, sarà comunque migliore di quella che vi vedrebbe opposti tanto ai sahuagin, quanto a pervicaci malumori.
Avete tutti e sei i giochi precedenti? Fermatevi pure lì. Nessuno dei precedenti esponenti dell’Adventure System Cooperative è da considerarsi nemmeno lontanamente un capolavoro, ma erano giochi onesti e godibili. Ghosts of Saltmarsh Boardgame non merita tali aggettivi.

Le scelte produttive al risparmio possono essere comprensibili, in tempi difficili. E così gli errori, che fanno parte del sentiero di noi tutti. Come pure l’avventatezza di chi prova a proporre qualcosa che non riesce pienamente a gestire. Ciò che invece non dovrebbe essere mai perdonato è l’insieme di scelte prese da chi, sfruttando la passione, l’amore e la fiducia di molti, forte del vessillo d’un marchio celebre, decide consapevolmente di lesinare in cura e applicazione: quest’ultime, in campo ludico e nel rapporto tra chi crea e chi sostiene, sono sinonimi della parola rispetto

Un mio fratello di spada a cena mi ha chiesto perché intendessi dedicare diverse clessidre della mia nottata al parlare così dettagliatamente di un’espansione che mi ha cotanto deluso. 

“Ciò che non possiamo più fare per noi stessi, 
possiamo ancora farlo a beneficio di altri”.

Da guerriero a guerrieri,
uniti nel gioco e nella battaglia.

Sir Alric Farrow

Pro:
  • Il D&D Adventure System Cooperative Game è un sistema agile, efficace e ben rodato.
  • È sufficiente avere un qualsiasi altro core set della serie per utilizzare quest’espansione.
  • Rispolverare eroi e mostri presi da tutti i giochi precedenti è una possibilità allettante e stimolante… 
Contro:
  • … che però viene concretizzata in maniera fallimentare, complicando la gestione componenti senza nemmeno sfruttare degnamente cotali risorse.
  • Le missioni di esplorazione dei sotterranei sono tra le più monotone di tutta la serie. 
  • Le avventure ambientate nel villaggio di Saltmarsh sono concepite male e regolamentate peggio.
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Commenti

Recensione capolavoro, come al solito!

Piccola digressione, visto che viene citato ad inizio recensione.. assault of the giants, a mio avviso, è tutt'altro che un brutto gioco.. è che non è un gioco dove ci si mena tanto.. ma anzi.. anche la gestione mano, con una meccanica alla "concordia" è molto interessante.. ha alcune pecche (setup fisso), ma la variabilità è data dalle stesse razze presenti nel gioco.. che hanno forza ed obiettivi diversi.. diciamo che è quanto di più lontano da un Blood rage.. ma non x questo brutto.. tra la vena American e quella german, è sicuramente dominante la seconda (la maggior parte dei PV possono essere fatti con le quest anziché i combattimenti).. senza ovviamente contare il lore.. semplicemente il tabellone è spettacolare, con la riproduzione molto dettagliata di faerun.. e con la stessa art del vecchio manuale dell'ambientazione dei forgotten realms della 3.5

Digressione finita.. sui dungeon crawler recensiti tendo a concordare.

recensione al TOP

Le recensioni dell' implacabile Sir Alric sono sempre un piacere da leggere.

Ho venduto WoA e LoD perchè non rientravano nei miei gusti, quindi non ho nessun interesse verso questa espansione.. ma ho dovuto comunque leggere tutta la recensione! Spettacolare come sempre.

Sir Alric si mostra ancora una volta gran conoscitore e sapiente recensore di dungeon crawler. Grazie per l'aiuto nell'esplorare dongioni ed affrontare dragoni

Bentornato su queste pagine!

Splendida panoramica e disamina della serie e di questa espansione.

Grandissimo Alric, vedrò di non cambiare il mio vincente stato di cose (sic!) e evitare questa espansione, anche se è un vero peccato, condivido le tue parole di elogio per questa serie che continuo a consigliare a chi vuole "un HQ senza master".

Però tra i vari giochi da tavolo ambientati tra i dongioni e i dragoni noto la mancanza di Conquest of Nerath, anche quello all'uscita aveva crato un po' di clamore, no?

Recensione capolavoro con bellissima panoramica su un altro segmento del mondo dei Dungeon Crawler che tocca una serie importante per gli appassionati ...e dato che ci sono ne approfitto per andare leggermente OT e chiedere al prode Sir Alric se conosce quello che viene chiamato il "Dungeon Crawler definitivo" ovvero Dungeon Universalis, dato che la prossima campagna di ristampa partirà il 20 su Kickstarter 

Il prode Sir Alric è lieto di condividere con compagni d’arme le proprie esperienze sul campo di battaglia e sulla tabula da giuoco.

Thegoodson scrive:

Grandissimo Alric, vedrò di non cambiare il mio vincente stato di cose (sic!) e evitare questa espansione, anche se è un vero peccato, condivido le tue parole di elogio per questa serie che continuo a consigliare a chi vuole "un HQ senza master".

Però tra i vari giochi da tavolo ambientati tra i dongioni e i dragoni noto la mancanza di Conquest of Nerath, anche quello all'uscita aveva crato un po' di clamore, no?

Certo, anch’esso merita di essere citato.

Prima che arrivasse Battle for Rokugan, a Castel Farrow usavamo Nerath per iniziare a presentare, molto gradualmente, qualcosa di leggermente diverso a coloro che venivano da Risiko e dai suoi corazzati.

Ha funzionato spesso, non so se per la facilità di salire quel primo scalino o per i brindisi a sidro e birra durante le battaglie. A un giocatore esperto offre poco, ma è ancora utile per infoltire le schiere degli appassionati partendo dai novizi. Sarà il fascino dei draghi e dei dadi poliedrici. Con pazienza e intervalli progressivi si può giungere in pochi mesi da Risiko a un meritevole peso medio come Dark Ages: Heritage of Charlemagne, godendosi implementazioni e apprendimento costante lungo la via dell'esperienza.

Nerath è pregiudicato dalle lunghe attese tra il turno di un giocatore e l'altro e dall'iniziale disposizione fissa di regni, fortezze e unità, che lo imbriglia più di altri giuochi in fasi sempre ripetitive e talvolta mosse quasi obbligate soprattutto nei primi turni di gioco (e nella modalità classica non se ne giocano tantissimi di turni). A contenere un poco il problema vi sono le carte evento dei diversi "regni" che possono occasionalmente incentivare scelte differenti.  Come il ben più articolato Kemet ha il pregio di incentivare parecchio un’interazione continuativa e aggressiva, che fa mutare in maniera un po’ caotica ma certamente emozionante la situazione strategica dopo ogni conflitto. Inoltre mentre le fazioni si fronteggiano sui campi di battaglia, tra draghi, elementali, macchine d’assedio, flotte, giganti e fanterie, parte del destino della partita viene deciso dai gruppi di avventurieri inviati in dongioni e luoghi mitici quanto perigliosi.

Alcuni appassionati di Nerath, anche esperti, hanno provato a concepire delle disposizioni iniziali alternative. In verità purtroppo vi sono delle considerazioni da fare a tal proposito.

Le caratteristiche di movimento di alcune creature, in particolare il volo dei Draghi e gli Elementali che solcano i mari, ma anche le carte potere dei diversi regni, l'ordine di turno delle fazioni, la posizione delle fortezze e infine i benefici economici forniti da ciascun territorio sono tutti elementi fortemente legati a tale mappa per com'è concepita, in particolare ai singoli territori e alle distanze. Al variare della mappa, sarebbero tanti i componenti da modificare, proprio come il ponte levatoio di un maniero è soltanto la parte appariscente d'un apparato più vasto, fatto di corde, catene, carrucole, supporti e molto altro, il tutto pensato per operare al meglio insieme.

Conquest of Nerath è un gioco leggero, più che adatto ad affascinare facilmente alcune tipologie di novizi o di giovanissimi, che può divertire senza troppo pretese se giocato molto (molto) occasionalmente da compagnie miste di veterani in serata leggera e meno esperti. A Castel Farrow è ancora presente proprio per questo (la componentistica è preziosa anche per altri utilizzi legati a battaglie e conflitti nei giochi di ruolo fantasy).

meradoc scrive:

Piccola digressione, visto che viene citato ad inizio recensione.. assault of the giants, a mio avviso, è tutt'altro che un brutto gioco.. è che non è un gioco dove ci si mena tanto.. ma anzi.. anche la gestione mano, con una meccanica alla "concordia" è molto interessante.. ha alcune pecche (setup fisso), ma la variabilità è data dalle stesse razze presenti nel gioco.. che hanno forza ed obiettivi diversi.. diciamo che è quanto di più lontano da un Blood rage.. ma non x questo brutto.. tra la vena American e quella german, è sicuramente dominante la seconda (la maggior parte dei PV possono essere fatti con le quest anziché i combattimenti).. senza ovviamente contare il lore.. semplicemente il tabellone è spettacolare, con la riproduzione molto dettagliata di faerun.. e con la stessa art del vecchio manuale dell'ambientazione dei forgotten realms della 3.5

Digressione finita.. sui dungeon crawler recensiti tendo a concordare.

Ai tempi ebbi anche modo di vivere la campagna giocoruolistica Storm King's Thunder (esperienza molto positiva anche perché saggiamente implementata) e sono legato anch’io alle leggende e alle tradizioni riguardanti i Giganti dei Dongioni e Dragoni.

Certamente Blood Rage e Assault of the Giants sono due giochi diversi, ma appartengono a un medesimo spaccato (certuni li chiamano “dudes on a map”) e parimenti entrambi vedono nel Controllo dell’Area e nella Gestione della Mano due paradigmi strutturali fondamentali, seppur declinati in maniera differente.

Ciò che mi ha lasciato perplesso nella mia cavalleresca et corazzata persona sono alcuni difetti che reputo significativi. La disposizione fissa di alcuni elementi di giuoco per chi crea et concepisce meraviglie ludiche dovrebbe costituire un vantaggio, perché riduce le variabili da considerare a livello di bilanciamento. E invece codesti Giganti e il loro giuoco di equilibrio sono parzialmente privi: potrei dire la mia dettagliatamente sulle problematiche relative ai Giganti della Pietra (Age of Conan e il rapporto tra Turan e Stygia insegnano), ai limiti di unità che possono occupare le aree a seconda delle sotto-razza controllata, alle regole e le conseguenze dell’ordine di turno impostato, al fattore casualità aggiunto dagli eventi che comunque apprezzo per come rafforzano il tema (soprattutto quando un evento alla fine premia semplicemente qualcuno che in un’area si trovava già, senza sufficiente tempo di latenza per sovvertire tale situazione), ma diverrebbe un intervento lunghissimo. Tutti insieme però sono fattori che, a seconda delle aspettative individuali, possono pesare non poco nel giudizio su di un gioco moderno.

Concordo sui pregi che elencate e anch’io inserirei la gestione della mano “alla Concordia” tra i peculiari.
In linea generale apprezzo gli asimmetrici, soprattutto quelli così ben tratteggiati dal punto di vista dell’ambientazione (tra i miei giochi preferiti ci sono Caos nel Vecchio Mondo, Star Wars Rebellion, la Guerra dell’Anello, lo stesso Age of Conan).

Purtroppo, non ho piacere nel dirlo, la delusione per i risultati raccolti da Assault of the Giants (dal punto di vista congiunto di critica, appassionati e rendite effettive confermate dai mastri tesorieri) nel regno a stelle e strisce (il mercato di riferimento per i giochi da tavolo di codesto marchio) è stato ammessa apertamente persino da un responsabile dei maghi della costa nell’ambito di una GenCon debitamente successiva alla sua uscita, e soprattutto in tal senso l’ho dovuto citare come esempio di giuoco da tabula legato ai Dongioni e Dragoni che non ha avuto successo.

Ma comprendo il vostro punto di vista, anche perché invero di lore e potestà codesto gioco ne serba e ne trasmette.

Maggot2021 scrive:

Recensione capolavoro con bellissima panoramica su un altro segmento del mondo dei Dungeon Crawler che tocca una serie importante per gli appassionati ...e dato che ci sono ne approfitto per andare leggermente OT e chiedere al prode Sir Alric se conosce quello che viene chiamato il "Dungeon Crawler definitivo" ovvero Dungeon Universalis, dato che la prossima campagna di ristampa partirà il 20 su Kickstarter

Il prode Sir Alric ritiene che Dungeon Universalis sia un degno rappresentante della vecchia scuola e di gran lunga il dungeon crawler più ricco, tra tutti quelli che ha provato, a livello di possibilità e libertà di scelte. Nessun altro esponente del genere rammenta alla stessa maniera quel senso di avventure in stile Dungeons & Dragons di venti-venticinque anni or sono. Qui esprimo pareri più che convinzioni radicate, perché per esplorare le possibilità offerte da tale gioco da tabula servierebbero tre vite. 

Le meccaniche di base sono semplici. E' un dungeon crawler privo di eccessivi tecnicismi che non fa gridare al miracolo per innovazioni, ma che al contrario rassicura chi nel genere ama ritrovare le classiche risoluzioni mediante tiri di dado (in questo caso 2d6) + modificatori che devono almeno eguagliare un totale di 10.

Al tuo turno muovi e (prima o dopo aver mosso) fai un'altra cosa a tua scelta. Il gioco presenta però una gamma di azioni veramente ampissima: si va dal semplice attacco al perquisire un cadavere, passando per il costruire un ponte per superare un crepaccio e l'ispezionare l'interno di un vaso (o romperlo).

Può essere giocato in modalità competitiva (col Giocatore Oscuro), solitaria o cooperativa (sì, sono differenti le ultime due casistiche a livello di regole) e narrativa con master non competitiva, in stile gioco di ruolo. Il meglio lo dà nella versione competitiva. Lo sconsiglio se preso per giocare esclusivamente in modalità cooperativa o peggio in solitario.

Il Giocatore Oscuro tramite un sistema a punti può personalizzare davvero molto della sua fazione, persino le armi o gli incantesimi a disposizione dei nemici più importanti. Il problema è che nel centinaio di talenti e di incantesimi (all’incirca 100+100) a disposizione di eroi e malvagi ci sono notevoli squilibri: alcuni li vedrete spessissimo in scena mentre altri rimarranno sul libro, venendo scelti magari una volta e per sbaglio.

Contiene tanto sapere questo gioco, in formato cartaceo. Il tomo delle regole supera le 100 pagine e quello delle campagne (nella mia versione ce n’erano tre, più avventure speciali) per poco non ci arriva. C’è anche un libro dei mostri che contiene circa 400 antagonisti. C’è da leggere parecchio, soprattutto prima di giocare e in particolare per il Giocatore Oscuro. Non è affatto un gioco apri-e-intavola. Proprio no.

Il fatto di poter creare eroi personalizzati (quasi 50 tra razze e classi disponibili) presta il fianco a potenzialità paurosamente sbilanciate tra gli stessi; la trama poi rimane generica, senza mai essere veramente correlata alle loro peculiarità, tranne per alcune avventure contenute in un piccolo tomo dedicate ai personaggi pregenerati. Il loro livello però è di molto inferiore a quello delle campagne.

La storia non morde, non è il punto di forza della produzione.

Il punto di forza è l'abbondanza e la ricchezza di possibilità: Dungeon Universalis regolamenta veramente tante azioni, manovre e possibilità. Si esce dal sotterraneo e si attraversano i regni, fino a solcare anche le acque in avventurose esplorazioni dei mari. Vi sono persino dinamiche differenti a seconda del terreno, della stagione, del tempo atmosferico. Puoi disarmare o spingere, subire menomazioni permanenti, sbloccare nuove missioni in un mondo che attraversi, conosci e che cambia man mano che procedi con le avventure. La mappa e le missioni che vengono progressivamente sbloccate possono erroneamente ricordare Gloomhaven, ma sarebbe un errore paragonare i due giochi: sono parenti molto lontani come vedremo più avanti.

Un dettaglio interessante, l’unico che cozza un po’ con la tradizione, ma che risulta utilissimo, è quello delle implementazioni tecno-mantiche: un’applicazione gestisce bene l’evoluzione delle storie e degli eroi, tenendo conto di vari dettagli che vanno inseriti ma che poi è comodo andare a controllare. Vi è poi una seconda funzione che aiuta a giocare a distanza, con un giocatore che ha il tabellone e tutti i componenti, e gli altri che possono in qualche maniera interagire con lui anche senza essere allo stesso tavolo. Funziona così così, alla fine chi ha il gioco davanti deve fare un lavorone e chi è lontano gode solo a metà, ma ho apprezzato questo tentativo. Quando l’ho giocato io le applicazioni non funzionavano perfettamente: ci si ritrovava con alcuni dati modificati, come gli oggetti posseduti e altro.

Mi è piaciuto come sono stati gestiti gli elementi di arredo, con dei mazzetti tematici legati ad ogni tipo di esplorazione. Veramente è possibile interagire anche con oggetti minori e spesso ignorati in altri giochi.

L'alea pesa moltissimo. Più della media del genere d'appartenenza. Il rischio si può gestire meno che in altri giuochi rivali tra successi critici e fallimenti catastrofici sempre dietro l'angolo. Ma fa parte della tradizione cui si rifà il gioco.

Durante le campagne le possibilità sembrano infinite e apparentemente puoi fare tutto: ma la meccanica del tira-e-prega quei due dadi (molto in stile Libro Game), tra tabelle infinite ed elenchi di esiti casuali, alla lunga ti fa sentire spesso in balia del DioDadoDa6. Va bene la meccanica semplice, ma a volte il classico test di Dungeon Universalis ripetuto all’infinito rischia di annacquare parzialmente l'esperienza. Allora perché è considerato così complesso e pesante come gioco? Sono le eccezioni. Una tonnellata. Dungeon Universalis è di gran lunga il dungeon crawler con più eccezioni nel regolamento che il potente Sir Alric abbia mai provato. Questo comporta una pesantezza iniziale notevole, perché inevitabilmente nelle prime partite sarà laborioso sfogliare continuamente i manuali per capire come si fa questa o quella cosa. Vi sono poi tanti modificatori che è importante studiare e poi memorizzare, per non falsare i test. Serve che qualcuno si studi bene il più possibile prima di giocare.

Non mi piace la gestione dell’iniziativa. La fazione che la perde deve attendere il primo turno di attivazione di tutti i nemici in campo. Spesso accade che crei almeno un ottimo esploratore e lo rendi immensamente percettivo: lui sta un passo avanti agli altri, vince sempre l’iniziativa e si va avanti decisi. La prima volta che perde l’iniziativa, i nemici attaccano lui che rischia di essere abbattuto in un turno solo (se vuoi essere silenzioso scordati le armature pesanti, che penalizzano anche i test percezione) e di dover poi rimanere a lungo senza far nulla sperando al massimo che i compagni portino il suo cadavere fuori dal sotterraneo. Sì, c’è l’eliminazione del giocatore all’interno della missione. Ottimo perché genera tensione, male male perché capita sempre agli stessi personaggi (esploratori quando sbagliano un test nel momento sbagliato) di cui però non puoi fare a meno. Fondamentale avere qualcuno con capacità di rianimazione.

Le prime campagne presentano tanti errori e refusi, molto più del manuale delle regole, che però è organizzato non benissimo e non ti aiuta, per disposizione concettuale, a trovare rapidamente ciò che cerchi. Dentro c’è materiale per un numero incredibile di ore di gioco.

Scatola e componentistica scomode da gestire. Urge molta organizzazione.

E' però un gioco chiuso, completo. Non serviranno espansioni. Speriamo almeno che la ristampa abbia corretto l'infinità di errata e dettagli sbagliati. In definitiva chi vuole giocare molto e alla vecchia maniera, godendosi l'esplorazione dei sotterranei in alcuni casi senza limiti di tempo (presente solo in alcuni momenti), troverà pane per i suoi denti di guerriero. Non c'è l'obbligo di esplorare ogni ambiente per risolvere le missioni e spesso non c'è un cammino obbligato da percorrere.

E' un gioco totalizzante. Non lo prendi se ne hai tanti. Lo prendi perché sai che te ne serve uno che occupi una congrua fetta dei tuoi prossimi anni. Lo consiglio quindi a chi non ha tantissimi giochi e ne vuole uno, non troppo complesso (però cavilloso), vasto ed ambientato in una fantasy classica canonica, che possa durargli a lungo e che permetta di fare quasi tutto. E’ un inno fantasy alla libertà a livello di opzioni e scelte, per chi ama la concezione di mondo il più possibile aperto e quell'atmosfera di primo Dungeons & Dragons ma da tavolo che in tanti desiderano.

Andiamo al suo punto di forza. Dungeon Universalis è indubbiamente il più indicato tra tutti i giouchi che ho provato, e ne ho provati davvero, davvero molti, se si vuole convertire in gioco da tavola una propria storia fantasy preferita (sia essa un modulo di un gioco di ruolo quanto una trama da noi particolarmente apprezzata).
Il processo di preparazione scenari e campagne personalizzate non è immediato, perché per predisporne di accettabili bisogna entrare nella logica del gioco e delle meccaniche; soprattutto è necessario acquisire perfettamente il sistema di risorse per il Giocatore Oscuro se le si vuole giocare in maniera competitiva. E per ogni modalità di gioco bisogna studiare e capire almeno a grandi linee le basi di varianza matematica del sistema e gli aspetti peculiari di alcune dinamiche. Prendetevi il vostro tempo, non lasciatevi schiacciare dalla mole di informazioni e possibilità. Gustatevi lo studio prima, la preparazione poi. Come quando si corre in salita nei mesi caldi o si sollevano pesi con i nostri gruppi muscolari meno potenti: apparentemente è faticoso... ma dobbiamo tenere in gran conto quella fatica, assaporarla, perché ci sta rendendo più forti e capaci. Ad ogni passo. Ad ogni spinta. Ad ogni pagina.

E innegabilmente il materiale e le opzioni messe a disposizione del “creatore” sono notevolissimi. Inoltre, entrando in quest’ottica di personalizzazione, potrete provare ad intervenire progressivamente sulle vostre opere, andando man mano a correggere gli errori di gioventù delle prime creazioni.
Permangono alcuni difetti del gioco (quantità d’eccezioni, sbilanciamenti tra combinazioni di razze-classi-talenti-incantesimi, iniziativa, alea veramente predominante, meccanica dei test molto ripetitiva), ma se l'uso che dovete farne è questo, decisamente personalizzato e personalizzante, il prode Sir Alric suona il suo corno da guerra e vi sprona alla carica: Dungeon Universalis costituisce l’arsenale migliore per scendere sul campo di battaglia e combattere con coraggio e tenacia per la nascita della vostra saga. Occorreranno solo tempo, volontà e costanza, soprattutto all’inizio. Ed inoltre la ristampa si spera corregga tutti i refusi e gli errori che presentava la versione precedente. Il peggio era nelle campagne già pronte comunque, che a voi serviranno fino a un certo punto.

Tanto tanto tempo fa anche il mitico Heroquest spronava lo Zargon (Morcar) di turno a concepire nuove missioni di sua ideazione. In questo senso Dungeon Universalis è SEMPLICEMENTE ECCEZIONALE e attualmente è l'erede più impressionante di tale possibilità. La fantasia non ha confini ma talvolta ha bisogno di adeguati strumenti e profonde fondamenta per edificare la torre della creatività e arrivare a toccare il cielo della storia che abbiamo sempre desiderato giocare.

Che le vostre battaglie siano intense,
che il vostro sidro sia sempre fresco e gustoso,
che il divertimento non manchi mai al vostro tavolo

Non mi interessa minimamente il gioco ma ho letto la recensione per godermi la scrittura del prode Sir Alric, complimenti!!

Ma quale spettacolo!!!

Una panoramica dettagliata e succosissima che diviene recensione dopo aver aperto un confine vastissimo.

Interessantissimo anche il commento alle domande degli utenti da parte di Sir Alric.

 

Ho letto l'articolo con grande interesse perché sono un estimatore sia della serie che degli scritti di Sir Alric e ho molto apprezzato le sue osservazioni e considerazioni. Lascerò perdere Saltmarsh senza difficoltà alcuna mentre invece prossimamente conto di intavolare Castle Ravenloft perché l'ultima volta Von Strahd ci ha suonato come tamburi   e fino a che non riusciremo a rendergli la cortesia non saremo soddisfatti.

Questa recensione è un sollievo per gli occhi.
Alla mia collezione mancava solo Saltmarsh... 
Alla mia collezione mancherà solo Saltmarsh.
 

Questa recensione è un sollievo per gli occhi.
Alla mia collezione mancava solo Saltmarsh... 
Alla mia collezione mancherà solo Saltmarsh

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