Non è tutto journaling quel che è solo

@Randa_Hamdouni Pixabay

Per fare vero journaling nei giochi di ruolo solitari serve anche giocare con le regole, non solo con le parole.

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Articolo originale di Roberto Bisceglie, “Non è tutto journaling quel che è solo”, pubblicato su https://www.ruolatorisolitari.it/. Rilasciato con licenza CC BY-SA 4.0. Questo contenuto è stato ripubblicato con modifiche minori.

Negli ultimi anni, il gioco di ruolo solitario ha conquistato una fetta sempre più visibile del mercato ludico. Una fioritura di titoli, stili e approcci ha reso il termine “GDR solitario” un’etichetta ombrello, spesso usata senza distinzione per indicare esperienze molto diverse tra loro.

C’è chi immagina un’avventura a scelta libera piena di combattimenti, mappe, dadi e tabelle. C’è chi si aspetta un’esperienza diaristica, lenta, intima, fatta di lettere, ricordi, monologhi interiori. E spesso entrambi stanno giocando a un “gioco solitario”.

Questo articolo nasce dalla necessità di fare chiarezza, non per imporre definizioni rigide, ma per costruire un modello utile: un continuum tra due poli teorici — il gioco di ruolo solitario “puro” e il journaling game “puro”. I giochi si distribuiscono lungo questa linea, a volte spostandosi, a volte ibridandosi. Ma riconoscere questi poli aiuta a progettare meglio, a scegliere con più consapevolezza e a parlare con maggiore precisione di cosa stiamo effettivamente giocando.

Il GdR solitario “puro”

Un gioco di ruolo solitario, nella sua forma più “pura”, mantiene il cuore pulsante del gioco di ruolo tradizionale: scelta, conseguenza e possibilità. La differenza è che tutto accade nella mente (o nel quaderno) di una sola persona. Non c’è un GM esterno, ma ci sono comunque problemi da risolvere, situazioni da affrontare, mondi da esplorare.

La caratteristica chiave è l’infinità tattica: la libertà del personaggio di tentare qualsiasi azione per risolvere un problema, soggetta all’adjudication. In un GdR classico, l’adjudication è delegata al GM. Qui, è sostituita da strumenti interni al gioco — oracoli, sistemi di risoluzione, tabelle, interpretazioni libere — ma il principio resta: puoi tentare qualsiasi cosa. L’esperienza è emergente, mai interamente predefinita.

Un secondo elemento fondamentale è la storia emergente. Non si scrive una trama: la trama si scopre giocando, reagendo, tirando i dadi, interrogando oracoli e interpretando le conseguenze. È la narrazione che si forma passo dopo passo, come una pista nella neve.

Infine, c’è l’aspetto dell’immaginazione attiva, in senso junghiano: non si scrive per raccontare qualcosa, ma per scoprire qualcosa. Il gioco diventa un viaggio simbolico, un dialogo con le proprie immagini interne, un processo in cui il personaggio non è solo un avatar, ma un’espressione dell’inconscio narrativo.

In sintesi: il GdR solitario puro è una struttura aperta, sistemica, giocata con lo stesso spirito con cui si esplorerebbe un dungeon o si conduce una missione. L’enfasi è sulla libertà di agire e sulla scoperta del mondo attraverso il gioco. Scrivere è solo uno degli strumenti, non il fine.

Il journaling game “puro”

Se il GdR solitario puro si nutre di scelte aperte e risposte sistemiche, il journaling game puro sposta il baricentro verso l’esperienza autoriale. Qui, la scrittura non è un mezzo per risolvere situazioni, ma il cuore stesso del gioco.

La struttura di un journaling game è generalmente basata su prompt: stimoli narrativi che guidano la scrittura. Possono essere domande, frasi, immagini, carte, frammenti. Ogni prompt è un invito a riflettere, esplorare, raccontare. Non si tratta tanto di giocare un personaggio, quanto di abitare la sua voce.

Il focus è character-driven. La trama esterna, se esiste, è spesso un pretesto per esplorare il vissuto interno. Gli eventi narrati servono a rivelare desideri, paure, ricordi, traumi. Non si cerca la vittoria, ma la risonanza emotiva. Non si risolvono problemi tattici, si scandagliano emozioni, identità, relazioni.

Dal punto di vista meccanico, i journaling game rinunciano all’infinità tattica. Le azioni non sono libere e aperte, ma suggerite o contenute nei prompt stessi. Le scelte sono meno “strategiche” e più “espressive”. L’incertezza non deriva tanto dal rischio o dal conflitto, quanto dal significato: cosa rivela questa scena del mio personaggio? Cosa sto dicendo di me scrivendola così?

Nel journaling game puro, il gioco è scrittura — nel senso pieno e personale del termine. A volte quasi terapeutico, a volte radicalmente narrativo, ma sempre orientato all’interno.

Scrivere è giocare.

Il continuum

Parlare di “poli puri” serve a mettere a fuoco le differenze, ma nessun gioco reale esiste in uno stato di purezza teorica. La maggior parte dei titoli si colloca in mezzo, in un territorio ibrido dove le caratteristiche dei due estremi si mescolano, si contaminano, si contraddicono.

Ci sono journaling game con elementi casuali e spunti d’azione. Giochi tattici con momenti di scrittura introspettiva. Strutture aperte che diventano riflessioni personali. Strutture chiuse che generano storie emergenti. Il paesaggio è sfumato.

Per orientarsi, può essere utile immaginare una mappa concettuale con due assi:

  • sull’asse orizzontale, la struttura narrativa: da una parte libertà tattica e storia emergente, dall’altra prompt guidati e struttura fissa;
  • sull’asse verticale, l’orientamento operativo del giocatore:
  • in basso: interazione sistemica — gioco con regole, tabelle, esiti incerti, gestione di risorse, vincoli;
  • in alto: espressione narrativa — gioco come costruzione di significato, stile, tono, riflessione personale.

Questo modello non assegna un valore gerarchico, ma aiuta a leggere che tipo di esperienza il gioco struttura e valorizza. Alcuni esempi pratici:

  • Ironsworn è in basso a destra: molto sistema, molta libertà tattica, ma anche struttura e script.
  • Thousand Year Old Vampire si colloca nella parte alta del centro-destra: narrativa strutturata, prompt forti, ma ampio spazio a interpretazione e senso.
  • Alone Among the Stars è al centro: oracoli semplici e liberi, ma con forti elementi di tono e suggestione.
  • Field Guide to Memory è in alto a destra: struttura guidata, narrativa intensa, espressività alta, poco spazio all’imprevisto.
  • Four Against Darkness (per controesempio) si piazza in basso a sinistra: puro sistema, puro dungeon crawling, praticamente zero introspezione.

 

 

Il punto non è classificare. Il punto è capire cosa fa il gioco e come lo fa. Questo permette di progettare con più consapevolezza, scegliere con più precisione, parlare con meno ambiguità.

Il GDRS non è un genere. È un terreno di gioco.

Perché importa?

Distinguere tra GdR solitari e journaling games non è un esercizio accademico. È una questione di chiarezza progettuale e onestà comunicativa.

Per chi scrive giochi, questa distinzione aiuta a capire cosa si sta costruendo. Un sistema con oracoli, risoluzioni e mappe ha bisogno di coerenza meccanica e apertura tattica. Un gioco basato su prompt e introspezione richiede cura nel tono, nei tempi, nella voce. Confondere i due rischia di creare giochi che non funzionano né da una parte né dall’altra.

Per chi gioca, serve a scegliere cosa aspettarsi. Vuoi esplorare un mondo o una ferita? Vuoi scoprire cosa succede o come ti senti? Vuoi affrontare problemi o raccontare reazioni? Etichettare entrambi come “GDRS” è comodo, ma fuorviante.

E poi c’è la questione della comunicazione: cataloghi, recensioni, vetrine digitali. Se tutto è “solitario”, allora niente lo è davvero. Serve più lessico, non meno. Serve dire: questo è un journaling game. Questo è un dungeon crawler solitario. Questo è un diario meccanico. Questo è un solitario narrativo tattico con prompt vagamente introspettivi.

Serve dire cosa fa il gioco. Non solo come si gioca.

E quindi?

La parola “solitario” dice solo una cosa: che giochi da solo. Tutto il resto è da scoprire — o da progettare con attenzione. Se un gioco ti lascia libero di agire, esplorare, risolvere: è un GdR solitario. Se ti invita a raccontare, a scrivere, a riflettere: è un journaling game. Se fa entrambe le cose, sei in buona compagnia: la maggior parte dei giochi interessanti vive esattamente lì in mezzo.

Ma più che etichettare, serve guardare cosa chiede il gioco, cosa promette, e come ti ci fa arrivare. Serve un linguaggio che rispetti la complessità di queste forme, e che aiuti a giocarle meglio.

Perché no, non è tutto journaling quel che è solo. Ma anche il journaling, quando è fatto bene, è una forma potente di gioco.

Anche da soli, si gioca sul serio.

Commenti

Anche se non gioco in solitario, articolo ben fatto.

Non conosco l'autore e i "solo-gdr" li ho solo sfiorati, pur con enorme curiosità.

Quest'articolo l'ho trovato davvero utile, e scritto pure meglio. Spero di leggere altre tue cose cose.

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