Talisman... intramontabile! Un grazie a Sir Alric meno epico e più riflessivo del solito, ma sempre con la ragione e l'esperienza dalla sua!
- Genere: ameritrash, adventure game.
- Target: giocatori occasionali (ma tenaci).
- Scalabilità: 2-6, consigliati 3-5.
- Meccaniche principali: tira e muovi, tiri di dado, poteri variabili.
- Meccaniche secondarie: dinamiche tipiche dei giochi di ruolo.
- Importanza storica: un individuo chiamato ad affrontare imprevedibili rivolgimenti della sorte, avvenimenti inconsueti e inauditi, o che di sua sponte decide d’imbarcarsi in un’impresa temeraria ma irresistibile per quel che essa cela di unico e misterioso… ovvero l’avventuriero. Cercatori di tesori o naufraghi, eroi perseguitati dagli dei o pirati, cavalieri erranti o esploratori: a renderli protagonisti, oltre che delle loro vicende, di un filone canonicamente definito, fu la letteratura. Ulisse, i cavalieri della Tavola Rotonda, Don Chisciotte, Robinson Crusoe, Gulliver, Gordon Pym, i capitani Nemo e Achab, Allan Quatermain, Phileas Fogg, Tom Sawyer, Edmond Dantès e Jim Hawkins sono solo alcuni tra coloro che contribuirono a delineare progressivamente le caratteristiche ricorrenti e peculiari di questa figura emblematica, con doverosa menzione d’onore per l’influsso dell’italica creatività concretizzatasi attraverso il guizzo di Emilio Salgari e le gesta tanto di Sandokan, quanto del Corsaro Nero. L’audacia, la capacità di adattamento e di reazione, una naturale propensione verso la scoperta e la conoscenza, l’attrazione nei confronti dell’ignoto, le consapevolezze e le multisfaccettate perizie sono gli strumenti di un personaggio che non sempre è un “buono”: molti avventurieri sono anime in chiaroscuro, quando non addirittura delle canaglie, che tendono a pescare dal mazzo degli intenti carte che permettano al lettore di empatizzare con essi senza che la trama finisca col celebrarli necessariamente come degli eroi senza macchia. Il poema epico e il romanzo d’avventura hanno propagato codesti topoi attraverso i diversi domini della cultura, non ultimo quello del divertimento intelligente. Andiamo a trattare oggi di giochi da tavolo d’avventura e, per comprendere natura e confini del genere, ci pone nella giusta direzione l’origine etimologica del termine cardine di tutta la faccenda: “avventura” deriva dal francese aventure, a sua volta correlato al latino adventura, - ciò che accadrà -, participio futuro del verbo advenire, ossia - giungere -. Troviamo quindi un filo logico che lega i concetti di evento e di spostamento. Nei giochi da tavolo di questa famiglia abbiamo uno o più avventurieri che errano e viaggiano, confrontandosi con accadimenti, incontri e scoperte, in uno scenario ben tematizzato perché l’ambientazione e più ancora l’ambiente e i luoghi costituiscono, nel loro insieme, il nodo di correlazione tra l’accadimento e il peregrinare. A questo punto diviene cruciale definirne la scala a livello di grandezze e distanze: se è tanto vero che, genericamente, un’avventura può entrar nel proprio vivo ovunque, in un castello, in un’astronave o in una casa degli orrori, è altrettanto appropriato affermare quanto le opere rappresentative del genere, di solito, propongano tabelloni alla foggia di mappa che effigiano quantomeno intere regioni, se non regni, nazioni, continenti o addirittura il mondo intero. Ciò accorda di dar risalto ad apparati concettuali che rendano rilevanti caratteristiche e variabili del percorso a medio e lungo raggio (al contrario di altre tipologie, come per esempio i dungeon crawler di stampo classico, che si basano su un posizionamento più preciso per finalità tattiche o di esplorazione specifica a corto raggio): ecco che il tipo di terreno attraversato, il tragitto scelto, l’ora del giorno, la stagione, il mezzo utilizzato per lo spostamento, le condizioni meteorologiche e le prerogative del territorio (popolazioni, flora, fauna, minacce ricorrenti, ecc.) assurgono a elementi di cui tener conto nell’ambito delle opzioni a disposizione dell’autore prima, del giocatore poi.
Un tassello fondamentale nel mosaico dei giochi da tavolo di avventura e del loro destino è legato all’inizio degli anni Ottanta, quando Robert J. Harris, latinista scozzese col pallino del romanziere in erba, proprio nelle natie terre dell’antica Caledonia buttò giù, sviluppò e provò per mesi e mesi, insieme ai suoi amici, un gioco di società fatto in casa, strutturato partendo dall’idea seminale del tira e muovi in stile Snakes and Ladders, ambientato però in una scuola. Il tabellone era composto da tre aree: un perimetro esterno rappresentante il cortile, i magazzini, le attrezzature e i campi sportivi, una fascia intermedia con aule e laboratori, infine una zona centrale riproducente le sale dei docenti, la biblioteca e la presidenza. L’obiettivo del gioco era diventare il preside. A forza di giocare, Harris ebbe tra le mani una specie di prototipo che presentò al Games Day, celebre convention promossa e patrocinata dalla Games Workshop. I responsabili della casa di Nottingham, proprio quella del martello da guerra, lo provarono un paio di volte per poi commentare così o giù di lì: “Bello bello il tabellone con le tre aree, bello che accadano un sacco di cose, ma tu ce li vedi i bambini a chiedere come regalo il gioco della scuola? A competere per diventare preside? Facciamo così: trasformiamo tutto in un regno magico, tra cavalieri, sortilegi, mostri e pericoli, con l’obiettivo di arrivare al centro della mappa per ottenere il tesoro finale”. Venne allora scartata un'ipotesi alternativa dell'autore, che paventava sfumature in stile black metal e fosco-necromantiche. Poco tempo dopo, nel 1983, Harris e la Games Workshop lanciarono sul mercato la prima edizione di Talisman: The Magical Quest Game. Nell’anno in cui scriviamo questo approfondimento, il 2024, ha visto la luce addirittura la sua quinta edizione. E di quarte edizioni, nel nuovo e attuale millennio, se ne sono susseguite ben due che è d’uopo distinguere. Molte incarnazioni, molti ritorni sulla scena ci parlano di un percorso che ha attraversato le mascelle del tempo con vigoria ma senza restar del tutto indenne, trattandosi d’un gioco di società apprezzato e detestato come pochi altri. Per capire le ragioni del “fenomeno Talisman” immergiamoci nelle sue specificità. - Elementi di innovazione/twist: di giochi da tavolo d’avventura che custodivano nelle scatole, nell’impianto e nell’essenza molti dei principi del genere, per come lo concepiamo oggi, ne esistevano già prima di Talisman. Tra i tanti scelgo di nominare ancora una volta Magic Realm (1979), già da noi precedentemente citato in questo lungo tributo ai Cento Giochi nella Storia, in quanto ludico e antesignano prodigio del secolo scorso cui sono debitori interi arcipelaghi di idee e generi, tanto è vero che ne ritroviamo tracce in ogni dove nell’orizzonte sospeso che va dall’Expert Set (la scatola blu) del primo Dungeons & Dragons a quel capolavoro moderno che è Mage Knight. Eppure Magic Realm resta un monile tuttora lucidato solo da alcuni, mentre quello di Talisman fu un successo commerciale impressionante: la seconda edizione, prodotta poco dopo la versione originale per correggerne gli errori, anche alla luce della curiosità che aveva attirato, conquistò il mercato di settore e spinse la Games Workshop a proseguire sull’ambizioso sentiero di storiche acquisizioni, come quella di Dungeon Quest, e di successive pubblicazioni memorabili, da The Fury of Dracula a HeroQuest.
Talisman spopolò subito per la plancia-mappa che apriva le porte di un viaggio fantastico e un regno arcano. La piana del pericolo, la caverna dello stregone, le cripte e le rovine, la radura maledetta, l’abisso e tutte le altre contrade, con la combinazione di una semplice ma funzionale illustrazione, un nome evocativo e una o due regole, che però facevano sempre accadere qualcosa all’avventuriero che li visitava, riuscivano a rendere ogni casella un luogo ben definito a livello di immaginario. La divisione per percorsi perimetrali in tre aree, tra terre esterne, di mezzo e interne, nella sua immediatezza permetteva di concretizzare a livello posizionale i progressi del giocatore dal punto di vista del tragitto in direzione della zona centrale e l’obiettivo: per attraversare il fiume tempestoso occorreva munirsi di una zattera o affrontare il ponte della titanica sentinella; per accedere al cuore della mappa si rendeva necessario superare il portale del potere; per sopravvivere alla valle di fuoco e raggiungere il tesoro finale, la corona del comando, non v’era altra via che possedere un Talismano. E le caselle pullulavano di creature terrificanti, minacciose, iconiche: la sfida del cavaliere nero, la tana del lupo mannaro, la torre del vampiro, i pozzi dei demoni… e si giungeva persino a giocare a dadi contro la Morte per poter proseguire. Bastava un’occhiata al tabellone ed ecco che l’ambientazione, la fantasy e la scintilla di viaggio avventuroso prendevano vita con limpidezza anche agli occhi del giocatore occasionale, chiamato a scelte sempre semplici se scomposte una per una: tira il dado e muoviti di un numero di passi pari al punteggio ottenuto, affronta l’evento, effettua la scelta tra poche chiare alternative, gestisci un pugno di caratteristiche (le essenziali sono Forza, Astuzia e Vitalità), risolvi i test ancora una volta con un unico tiro di dado, quello a sei facce, rassicurante e noto in ogni dove. Vi era magia e incantesimi, vi erano tanti possibili personaggi tra cui scegliere con poche precise abilità specifiche cadauno, era possibile acquistare equipaggiamenti, reclutare seguaci e nell’ampio raggio della partita poteva succedere davvero di tutto, persino essere tramutati in rospi; purtuttavia nel singolo turno la rosa di opzioni era sempre abbastanza ristretta da non causare smarrimento nei partecipanti più giovani o comunque non esperti. Quest’insieme permise di sconfinare più che moderatamente nel mercato di massa, quello dei numeri interessanti e della popolarità che si lascia alle spalle le ombre della nicchia. Il sottotitolo “The Magical Quest Game” esplica la cerca di bretone tradizione per la conquista della ricompensa definitiva, quella corona che è possibile raggiungere solo dopo una lunga e faticosa crescita a livello di potenzialità, cimento dopo cimento, che restituisce la sensazione di estesa epopea fantasy ma offerta al grande pubblico in una singola serata. - Longevità e alternative: cinque edizioni, più una considerando la quarta pura e la quarta revised, accompagnate da una sterminata schiera di espansioni che hanno aggiunto finali alternativi, contenuti supplementari tra nuovi personaggi, nemici, incantesimi, equipaggiamenti, regole e nuove porzioni di mappa da affiancare o sovrapporre parzialmente alla plancia originale, possono apparire come un arsenale impegnativo da gestire, ma conosciamo bene la materia e sarà nostra cura districarci operando in maniera progressiva. La prima edizione durò il tempo di impressionare e capire che la cosa poteva davvero funzionare, mentre la seconda (1985) fu quella del trionfo, della resa effettiva per cui tutti conoscono Talisman, quella che fu localizzata nell’ovunque delle terre ludo-civilizzate dell’epoca. La terza incarnazione nacque dalla decisione di Games Workshop di fondere maggiormente le opere della casa con i prodotti di punta e quindi il Talisman del 1994 ti racconta di essere ambientato nel Vecchio Mondo di Warhammer Fantasy Battle con, per dire, il rattoide skaven che campeggia tutto squittente tra gli avventurieri disponibili, un epilogo incentrato sul combattimento con il Dragon King nell’insidiosa Wizard's Tower e modifiche negli equilibri che fecero storcere il naso a tanti appassionati della vecchia guardia. Costoro furono accontentati dalla quarta edizione curata dalla Black Industries, divisione della Games Workshop che nel 2007 fece rindossare a Talisman il mantello e i colori delle versioni precedenti e più amate. L’anno seguente la Fantasy Flight, colosso nel settore dei giochi di carte e giochi da tavolo tematici nel primo ventennio di questo secolo, fece suo il marchio per proporre una quarta versione revised (nota informalmente anche come Talisman 4.5) che ricalibrò qualche dettaglio e diventò apripista della serie di espansioni che ha ampliato le possibilità e la longevità di Talisman come mai prima. Quest’ultima è globalmente più tenuta in considerazione rispetto ai successivi Talisman a tema Kingdom Hearts, Batman, Harry Potter e Star Wars.
Ora, nel proporvi alternative a Talisman, eviteremo di porre un’eccessiva attenzione su titoli che simboleggiano per la critica il culmine qualitativo del gioco da tavola d’avventura dell’era attuale, che però si sono allontanati dalla filosofia originale del binomio Harris – Games Workshop: non è detto che abbiano fatto male a farlo, visto che alludiamo a perle dal punto di vista narrativo, cioè Sleeping Gods e Tainted Grail, o a quel capolavoro di Mage Knight, che però a tutti gli effetti appartiene alla categoria degli ibridi, come pure Heroes of Might & Magic III ed Euthia: Torment of Resurrection.
Rimarremo dunque nel solco della vecchia scuola e iniziamo ovviamente da Relic, il Talisman cupamente sprofondato nel quarantesimo millennio di Warhammer, un futuro oscuro dove c’è soltanto guerra, che si concretizza come una delle manifestazioni più solide e pulite di meccaniche già note: Relic non si discosta nettamente dal progenitore fantasy, non tradisce le sue origini, ma ne razionalizza concetti e andamenti, pur restando più limitato sui fronti di opzioni, varianti e longevità.
Nell’introduzione abbiamo elogiato la figura dell’avventuriero e finalmente possiamo esaltare lui, l’archeologo, il cercatore di tesori, la frusta, il cappello e i ricordi di storie indimenticabili, tra arche perdute, templi maledetti e la spericolata ricerca del Graal. Indiana Jones è l’avventuriero per antonomasia e, pur non esistendo un gioco di società degno del suo nome, da una frase che pronuncia a riguardo delle pietre sacre di Shankara, trova liberamente ispirazione il titolo del gioco d’avventura che, pur non ufficialmente, meglio restituisce le sensazioni trasmesse dalle sue imprese: Fortune and Glory - The Cliffhanger Game paga dazio per un peso smisurato dell’alea, alcune avventatezze dal punto di vista del design, però provandolo vedrete il mondo di Indiana Jones (e un pizzico di quello di Simon Templar) rivivere sul vostro tavolo in maniera impetuosa e temeraria.
Dal mondo di Descent e di Rune Wars arriva la trilogia dei Runebound: torniamo nei reami del fantasy con un meccanismo di spostamento libero, su griglia esagonale, ma condizionato dal tiro di dado che simula la maggior difficoltà di affrontare territori come montagnosi, boschivi, o peggio acquatici, rispetto a pianure e strade, ma che rischia di mettere spesso in mano alla dea bendata le effettive possibilità di movimento dei protagonisti. Nessuno dei tre sfiora l’eccellenza; laddove ebbe un certo seguito il secondo negli Stati Uniti, con opzioni aggiuntive in taluni casi sufficientemente ispirate, è il terzo quello che osò di più, proponendo un interessante sistema di combattimento a gettoni e una struttura più funzionale: lo consiglio più degli altri a patto di integrare nell’esperienza l’ultima espansione, l’irrinunciabile Unbreakable Bonds, che tristemente vide la luce quando il gioco era già sulla via di un tramonto che non aveva vissuto alcuno zenit.
Migliore il destino del cooperativo Eldritch Horror che indichiamo in questa panoramica al posto del proprio avo in salsa lovercraftiana Arkham Horror, in quanto sviluppa gli eventi su scala mondiale, rendendo ancor più significativi viaggi, visite a città e siti leggendari, scelta di percorsi ferroviari, marittimi o impervi e misteriosi. Il gioco funziona a dovere a patto di non integrare contemporaneamente un numero eccessivo di elementi supplementari che renderebbero ardua anche solo la gestione dei tanti mazzi, di centinaia di carte, condannandovi a perdere punti sanità mentale non solo durante la partita.
A dispetto di Masters of the Universe: Fields of Eternia e di Viaggi nella Terra di Mezzo, occasioni in parte mancate ma che potrebbero comunque appagare chi è fortemente legato alla leggenda di Grayskull o alle opere di Tolkien, ci sentiamo ormai di affermare a distanza di un anno che The Witcher: Old World si sta ritagliando un posto stabile e di tutto rispetto anche al di là delle vaste moltitudini che erano già a priori legate a Geralt di Rivia e alle sue vicende.
Talisman Quinta Edizione, di recente uscita sotto l’egida di Avalon Hill, merita una disamina più dettagliata. Una grafica di maggior impatto si accompagna ad alcuni lievi mutamenti: la crescita degli eroi è un sospiro più veloce, i requisiti per riportare vittoria nel finale sono un sospiro meno onerosi, la morte dell’avventuriero è un sospiro meno penalizzante e i punti fato mitigano di un sospiro i rivolgimenti della sorte: codesti aneliti soffiano però tutti verso il medesimo punto cardinale e il fine ultimo è ottimizzare la durata della partita, riducendola in maniera da rendere più guizzante lo svolgimento e maggiormente incalzanti i confronti senza che ci sia il tempo per ritrovarsi con incolmabili distacchi tra le potenzialità dei diversi avventurieri. La prima espansione, Alleanze - Il Richiamo del Destino, donerà a Talisman, tra le altre cose, la nuova dimensione di una modalità cooperativa. Se non avete mai provato Talisman e siete curiosi, il consiglio è di dare un’occasione a questa quinta reincarnazione che promette di essere solo l’inizio di un nuovo viaggio, di una nuova esistenza.
Commento
Talisman ha diviso le ludiche platee come lavici e incandescenti lapilli proiettati a collisione su lastre di ghiacci sempiterni. Molti veterani, consci del livello di sviluppo concretizzato dal gioco intelligente nella sua forma più progredita e ispirata, hanno avuto difficoltà a concepire il successo tutt’altro che trascurabile di un titolo che, nel suo tira il dado a sei facce e muovi la pedina di quel numero di caselle, tanto rimanda all’albionico Scale e Serpenti (nel Belpaese ha il Gioco dell’Oca come omologo) per non parlare di difetti quali zavorra esagerata dell’alea e trascinamento, ovvero tipica lunghezza eccessiva, tendente al tedio, rispetto alla profondità del vissuto, che hanno sovente reso la fatica di Harris oggetto di biasimo e disapprovazione. A far da contraltare all’acredine dei detrattori è stata la gagliarda sopravvivenza di Talisman, decennio dopo decennio, e ancor di più il fatto che per parecchi dei suoi difensori è proprio la summa di codesti presunti punti deboli a divenir parte pressocché imprescindibile dell’identità effettiva di quest’opera. Talisman è in quel movimento non libero ma condizionato e lineare, è nella sua durata significativa che può essere calibrata grazie all’esperienza e alle adeguate varianti ufficiali da scegliersi in base alle esigenze dei partecipanti, è un’epopea che inevitabilmente consegna alla sorte una gran parte della potestà di punire e di sorprendere. Chi sta scrivendo oggi non è un paladino di Talisman, ma lo sono stato ai tempi della seconda edizione. Rammento ancora il suo impatto, la sua unicità, la capacità di trasmettere un mondo magico, la ricerca, l’avventura, sin dai primissimi turni della partita. I ricordi mi rendono facile affermare quanto possa essere stata impressionante la sua influenza, principalmente per la subitanea e travolgente resa del tema senza vincoli o requisiti, anzi agevole anche per il fruitore occasionale. Le tante riedizioni di Talisman costituiscono un fatto. Ma un altro fatto è che le ho potute facilmente provare tutte nel tempo dalla seconda in poi, anche l’ultima, pur avendo maturato consapevolezze che mi portano oggi a preferire titoli di sostanza del tutto differente. Le ho provate tutte perché sinceramente capita spessissimo che qualcuno lo voglia giocare, si voglia cimentare nella famosa e famigerata cerca della corona: Talisman chiede molto poco per farti accedere a quel regno fantastico (ora più che mai, con le tempistiche più consone e gli ammodernamenti della quinta edizione), non obbliga a strategie a lungo raggio o a comprendere per cosa sia meglio optare tra miriadi di azioni proposte. Scomponendo il flusso di gioco diviene palese come Talisman non intimorisca il giocatore non esperto: non dissuade, rassicura nelle sue dinamiche basilari e in tal senso ben si comprende come possa aver costituito, lui sì, un portale per il pubblico di massa o per dei giovanissimi, di passaggio dai giochi semplici, più noti alla collettività, alla fascinazione di un fantasy a suo modo aperto a tutti. Spinge a provare, a tentare. È anche questo il senso dell’avventura, nella sua accezione umana più ampia. Anche quando il teatro non è costituito da terre esotiche e imprese mirabolanti, è attraverso l’agire e una forma di dinamismo prima di tutto mentale, in opposizione all’abitudine e alla staticità, che ciascuno di noi si riappropria delle potenzialità più sopite. Non smettete, se potete, di vivere esperienze, di confrontarvi: abbracciate le consuetudini che reputate importanti, ma senza mai assoggettarvi ad esse. Cercate la completezza di voi stessi tanto nella stabilità, quanto nelle nuove sfide. Quale che sia la prova che dovete superare, non datevi per vinti. La convinzione è sorgente di possibilità sorprendenti.
Ogni giorno può essere quello giusto per ricordarci di tenere sempre vivo dentro di noi il fuoco della conoscenza, della scoperta e, a nostro modo, dell’avventura.